FEMMINICIDIO

domenica 24 maggio 2009

Spaccino condannato per il femminicidio di Barbara Cicioni

Roberto Spaccino è stato condannato per tutti i capi di imputazione a suo carico.
La settimana scorsa ho seguito in diretta le udienze conclusive del processo a Perugia.
Vorrei risistemare gli appunti, e rendervi partecipe delle mie osservazioni in aula, ma purtroppo il tempo è tiranno, e tarderò ancora un pò.

mercoledì 13 maggio 2009

FESTIVAL DELLE MUTAZIONI

FESTIVAL DEL CORPO FEMMINILE
Eventie spettacolisumutazioni, seduzioni, ossessioni
delcorpofemminilenelTerzoMillennio
Genova, 8 / 24 maggio 2009

Produzione TEATRO CARGO


GENOVA
mercoledì 13 maggio @ Palazzo Ducale (Sala Minor Consiglio)
- ore 18.45
Tavola Rotonda: Femminicidio
intervengono Barbara Spinelli, Marina Dondero,
coordina Erika Della Casa.

Ingresso gratuito.

lunedì 11 maggio 2009

FEMMINICIDIO DI BARBARA CICIONI: ENTRO UNA SETTIMANA LA SENTENZA


FEMMINICIDIO DI BARBARA CICIONI: ENTRO UNA SETTIMANA LA SENTENZA


E' iniziata oggi la settimana conclusiva del processo di primo grado per il femminicidio di Barbara Cicioni. La Corte d'Assise entro lunedì prossimo dovrebbe arrivare a sentenza.


« Questo è, il femminicidio è ogni metodo sociale di egemonia maschile usato per distruggere i diritti, le potenzialità, le abilità, delle donne e il potere di vivere in sicurezza. È una forma di abuso, attacco, invasività, molestia, che degrada e subordina la donna. Conduce a uno stato di paura perenne, frustrazione, isolamento, esclusione e pregiudica la possibilità femminile di essere padrone della propria vita. Questa definizione vendica l’esclusione delle donne, scrivendone il nome nell’agenda della teorica, non che questo da solo sia sufficiente a causare dei cambiamenti sociali. Con questa nuova definizione non solo allargo l’impalcatura concettuale del crimine di femminicidio, ma anche mostro come relazioni di dominio ingiuste creano crimini che non sono stati neanche catalogati come tali dalla ricerca criminologica o vittimologica. […] Questa nuova definizione la si può capire meglio attraverso la voce delle vittime, l’analisi delle istituzioni sociali, delle strutture organizzative sociali, e gli schemi relazionali costruiti sulla tradizione. [...] Accettare una più ampia definizione di femminicidio è solo un passo nello spiegare e lottare contro il sessismo femminicida e il lungo, sfibrante processo che conduce alla morte fisica o interiore. Più studiamo il femminicidio più scopriamo quanto sia un fenomeno enigmatico, per noi che non oltrepassiamo i limiti, dar voce a ciò che prima non aveva voce, o sollevare il velo del rifiuto lì dove da sempre l’atmosfera è statica.»
(Nadera Shaloub Kevorkian)


Il femminicidio ci riguarda tutte, entra quotidianamente nelle nostre case, dalle pagine dei giornali, nelle aule dei tribunali, dalle confidenze di conoscenti che magari non sono neppure consapevoli di esserne vittime, e credono che, in fondo, tutto sommato, nella coppia il conflitto violento sia un fatto “normale”.
L'otto marzo 2008, insieme alla avvocata Monica Miserocchi, come me dei Giuristi Democratici, ho conosciuto di persona la mamma di Barbara Cicioni, Simonetta Pangallo.
Simonetta, che l'estate prima proprio a Perugia aveva sentito un nostro convegno sul femminicidio, organizzato dalla Rete delle Donne Umbre, aveva riconosciuto esattamente questo in quello che era stato fatto a sua figlia.
Per questo, ci aveva voluto conoscere.
Per questo, ci aveva chiesto di costituirci parte civile nel processo. Per evidenziare la potenziale, disarmante “normalità” di quello che era stato fatto a sua figlia.
Per me, che stavo lavorando alacremente sul tema, che stavo per pubblicare anche il libro con i risultati di alcune delle mie ricerche, è stata una grande sfida, e così anche per Monica, che quotidianamente si trova ad affrontare casi di violenza di genere, ma mai si era trovata a dover ricondurre in un'aula di tribunale quello che pure era il suo impegno associativo di analisi e critica al diritto vivente.
Insieme, ci siamo dette, ce la possiamo fare. Si tratta di aprire un varco, di fare breccia in un sistema giuridico che ancora rifiuta di cogliere il nesso stringente tra la messa in crisi della cultura patriarcale e il numero crescente di omicidi di donne, di violenze in famiglia denunciate e non più subite.
Si trattava di rompere una giurisprudenza consolidata: perchè una associazione si possa costituire parte civile, deve dimostrare di aver subito un danno diretto dal fatto reato, in quanto lesivo delle finalità statutarie essenziali dell'associazione stessa.
Per capirci, nel caso di specie giurisprudenza avrebbe ammesso l'ammissione di un centro antiviolenza, che ha come scopo essenziale la tutela dei diritti delle donne che hanno subito o rischiano di subire violenza di genere.
Invero, i Giuristi Democratici sono una associazione a tutela dei diritti umani, e la costituzione come parte civile implicava, attraverso l'atto di costituzione, spiegare perché il femminicidio lede non solo i diritti delle donne, ma quelli dell'umanità tutta, perché non riconoscendo alla donna la dignità di persona ne viola i diritti fondamentali.
Un passaggio difficile, ma che tuttavia ha trovato un riconoscimento giurisdizionale, costituendo un importante precedente: la nostra associazione era stata ammessa con ordinanza al processo dal GUP.
Sulla nostra scia, molte altre associazioni di donne hanno scelto, a seguito del nostro appello pubblico, di costituirsi parte civile. Ben cinque.
Tuttavia, la Corte d'Assise ha ritenuto di espellerne tre, tra cui noi. Il motivo: in accoglimento di una giurisprudenza molto restrittiva della Cassazione, si è inteso mancante il requisito del radicamento locale in assenza di una sede a Perugia.
Invero, la sfida non era finita, continuava infatti l'interesse a rendere pubbliche le dinamiche di approccio accusatorio e della difesa a questo tipo di delitti.
Di qui la partecipazione al processo, le mie impressioni sull'interrogatorio, i report sulle conclusioni.
Di qui anche la necessità di condividere fin dall'inizio questo percorso con il movimento femminista.



La GUIDA al processo, scritta all'inizio di questo percorso, la si può trovare qui:
http://www.gennarocarotenuto.it/2530-il-femminicidio-di-barbara-cicioni-guida-al-processo-nei-confronti-di-roberto-spaccino/



CALENDARIO UDIENZE


11 maggio: Requisitoria P.M.
12 maggio: Conclusioni parti civili
14 maggio: Conclusioni difesa
15 maggio: Eventuali repliche
Alla fine la Corte si ritirerà in Camera di Consiglio, ai fini della decisione, e quindi comunicherà il dispositivo (assoluzione o condanna e quantificazione della pena)


IL FATTO


La notte del 24/05/2007 Barbara Cicioni fu trovata nella sua camera da letto, a terra, morta, incinta di otto mesi e mezzo, nella villetta dove abitava insieme al marito, contigua alle abitazioni degli altri famigliari del marito.
Nell'immediatezza dei fatti si pensò che l'omicidio fosse opera di malviventi entrati in casa a scopo di furto (la stessa famiglia ne aveva già subìto uno nei mesi scorsi).
Il suocero di Barbara Cicioni accusò dei fatti “una banda di albanesi”, lasciando dichiarazioni stampa nel senso che “questi extracomunitari bisogna ammazzarli tutti”.
Tuttavia, il 29 maggio, poche ore prima del funerale di Barbara, Spaccino fu tratto in arresto e, sulla base delle rilevanze emerse dalle indagini, gli furono contestati i delitti di omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, procurato aborto, maltrattamenti nei confronti della moglie e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato (simulazione del furto).



IL CAPO DI IMPUTAZIONE PER CUI ROBERTO SPACCINO È STATO TRATTO A GIUDIZIO


Ecco nello specifico i reati contestati :
CAPO A) delitto p.e p. dagli art. 5751, 577 1° comma n. 4 in relazione ai nn. 1 e 4 dell’art. 612, 577 comma 23 cagionando la morte di Barbara Cicioni in stato di gravidanza all’ottavo mese, con reiterate percosse al capo ed al volto, stringendola al collo ed occludendole gli orifizi respiratori, così cagionandole la morte per insufficienza cardio-respiratoria acuta da meccanismo combinato asfittico (ostruzione meccanica violenta delle prime vie respiratorie determinante un quadro di asfissia meccanica da soffocamento e strozzamento) ed inibitorio (compressione delle strutture pascolo-nervose della regione laterale del collo). Con le aggravanti di aver commesso il fatto in danno del coniuge, per futili motivi (consistiti in una discussione famigliare) e per aver adoperato crudeltà verso la vittima in stato di avanzata gravidanza e dolorante sul letto a causa di esteso gonfiore alle gambe, ritenzione dei liquidi e diabete gravidico e non grado di opporre resistenza alle mortali percosse. Campignano di Marscian , 24 maggio 2007;
CAPO B) delitto p. e. p. dall’art. 572 c.p.4 per avere maltrattato la propria moglie Cicioni Barbara con continue ingiurie, percosse, violenze psicologiche, nel corso dell’intera vita matrimoniale fino all’avvenuto omicidio di cui al capo A. Campignano di Marsciano, fino al 24 maggio 2007;
CAPO C) delitto p. e. p. dall’art. 572 c.p.5 per avere maltrattato i propri figli minori Nicolò e Filippo con violenza psicologica (costringendo i medesimi ad assistere ai continui soprusi e maltrattamenti nei confronti della madre) e minacce di morte. Campignano di Marsciano, fino al 24 maggio 2007;
CAPO D) delitto p. e. p. dagli art. 81, 3676, 3687, 61 n. 2 c.p.8 per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire l’impunità del delitto sub A, con dichiarazioni rese al P.M. in data 25.05.2007 (reiterato in data 26.05.2007) falsamente accusando soggetti ignoti di essersi introdotti a scopo di furto nella propria abitazione e di aver commesso il delitto di omicidio in danno di Ciccioni Barbara, pur sapendoli innocenti, nonché per aver simulato all’interno della propria abitazione, dopo avere egli commesso il delitto sub A, tracce tali da fare ritenere consumato il delitto di furto ad opera di ignoti (cassetti aperti ed apparentemente rovistati, cassaforte aperta con le chiavi inserite e vuota, etc.). Campignano di Marsciano, 24, 25, 26 maggio 2007;
CAPO E) delitto p.e p. dall’art. 18 commi 1, 2 e 4 L. 194/78 per aver causato l’interruzione della gravidanza di Barbara Cicioni mediante le lesioni mortali descritte sub A. Campignano di Marsciano, 24 maggio 2007;
CAPO D) delitto p.e p. dall’art. 368 c.p. per avere, nel corso dell’intero interrogatorio, reso al P.M. in data 15.06.2007, falsamente accusato soggetti ignoti di essersi introdotti a scopo di furto nella propria abitazione ed avere commesso il delitto di omicidio di Cicioni Barbara, pur sapendoli innocenti. Perugia, 15.06.2007. Per questo reato si è già avuta sentenza di assoluzione da parte del GUP di Perugia in quanto si è ritenuto che la fattispecie di reato non possa essere integrata nel momento in cui, come nel caso di specie, l'accusa era rivolta contro ignoti (banda di albanesi).


L'ESAME DELL'IMPUTATO



LE CONCLUSIONI DEL DIBATTIMENTO


La requisitoria del Pm


Condanna all'ergastolo, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale, pubblicazione della sentenza, condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere, nonché delle parti civili, più il risarcimento del danno. Ed altri tre anni di reclusione, per la simulazione di reato.
Questa la richiesta del Pubblico Ministero, dott. ssa Duchini, presentata alla Corte di Assise al termine della sua requisitoria, durata ben nove ore, nella quale,capo per capo, imputazione per imputazione, ha con precisione riepilogato i punti principali dell'accusa per i singoli reati contestati all'imputato.
Gli elementi emersi in corso di dibattimento a suffragare le singole accuse sono gravi, precisi e concordanti. E non possono essere considerati, spiega la P.M, singolarmente, atomizzandoli per neutralizzarne la portata, ma vanno valutati alla luce di quello che è il contesto socio culturale.
A partire dalla definizione della famiglia Spaccino fornita dalla sua stessa madre: “la classica famiglia patriarcale contadina”.
mi scuso per il mancato aggiornamento, ma sono in partenza e devo risistemare gli appunti.
Intanto giro l'articolo di Laura Eduati, che sta seguendo per Liberazione le conclusioni del processo a Perugia.
Da Liberazione del 12.05.2009, pg.20
Ti sposo, ti maltratto per anni e alla fine ti ammazzo.
Quando Roberto Spaccino sente la parola "ergastolo" china la testa, insaccandosi nel giubbino arancione.Una mano sulla fronte, ascolta imbronciato la lunga requisitoria del pubblico ministero Antonella Duchini che ricostruisce senza incertezze l'assassinio della moglie Barbara Cicioni, avvenuto la sera del 24 maggio 2007 in una villetta nella campagna di Compignano, frazione di Marsciano (Pg). Ergastolo per omicidio, simulazione di reato, maltrattamenti famigliari anche nei confronti dei due figli e procurato aborto. Con Barbara morì anche la bimba che sarebbe nata il mese seguente, Elena: la terza figlia della coppia, la creatura che nelle parole di Spaccino diventava «una bastarda, speriamo che non venga come la madre sennò la ammazzo». Perché Roberto era un "maltrattatore" abituale: dal primo schiaffo durante il fidanzamento quando Barbara aveva osato un secondo buco all'orecchio, ai continui schiaffi per una ragnatela sul soffitto, per quei calzini scomparsi, per uno stendino piegato male. Insulti: «sfaticata», «maiala», «sei una troia come tua madre». Un ritornello, quest'ultimo, ripetuto così frequentemente che Barbara se lo sentiva rivolgere persino dai figli di quattro e nove anni. Un mese prima della morte, la zia della donna aveva saputo dalla nipote che i maltrattamenti non erano cessati nemmeno con la gravidanza e aveva commentato con dolore: «Spero che una notte non mi sveglieranno per avvertirmi che sei morta». Accadde così. L'accusa smonta la versione fornita da Spaccino dalle prime ore, e cioè che Barbara sia stata uccisa da «una banda di albanesi» mentre lui si trovava nella lavanderia della moglie a Marsciano per eseguire un distillo dalle undici e mezza della sera fino a mezzanotte e mezza. Non combacerebbero i tempi: secondo l'autopsia Barbara sarebbe morta prima che Roberto uscisse di casa ovvero verso le undici. Improbabile l'ipotesi dei ladri: la portafinestra della cucina è sempre rimasta chiusa, la borsa della donna fu ritrovata all'interno della villetta con il denaro intatto, la cassaforte e i gioielli non furono toccati. Eppure il dettaglio fondamentale lo fornisce lo stesso Spaccino, che nel primo interrogatorio ammise di avere litigato con la moglie prima di recarsi nella lavanderia. Non solo: confessò di averla malmenata nelle stesse modalità che poi le procurarono la morte. «Nel personalissimo vocabolario di Spaccino» spiega Duchini, «litigare significa picchiare, ovvero mandare qualcuno all'ospedale». Barbara era gelosa, aveva scoperto che la tradiva regolarmente, pensava alla separazione ma soprattutto gli aveva intimato di chiudere la seconda lavanderia aperta a Deruta voluta dallo stesso Roberto a tutti i costi. Non credeva alla storia del distillo, la sera tardi. Pensava che volesse uscire con delle donne. «Non sopportavo la sua gelosia», si sfogò poi l'uomo. Quel giorno Spaccino aveva saputo che occorreva eseguire il distillo ovvero la pulitura dei macchinari, passò due volte alla lavanderia della moglie ma non ritenne opportuno farlo. Nel pomeriggio a Deruta chiuse temporaneamente le saracinesche per accompagnare a casa due ragazze dell'est insieme con un amico, poi tornò a lavorare. Pochi giorni dopo il delitto ammise anche qualche tradimento. Cose da nulla, disse. Barbara viveva una gravidanza difficile, complicata dal forte aumento di peso e dal diabete gravidico. Si sentiva spossata, eppure il marito la obbligava a lavorare comunque accusandola di volere fare la "signora". «Sfaticata»: questo le ripeteva con astio nonostante si svegliasse alle sei ogni mattina, corresse in lavanderia, accudisse i figli fino a sera, preparasse la cena e si premurasse che la pulizia della casa fosse impeccabile altrimenti l'uomo avrebbe dato in escandescenze. Roberto si limitava ad accompagnare i bimbi a scuola, oppure a calcio. Quando Barbara stava portando il figlio maggiore al Bambin Gesù per una piccola operazione, il marito le disse: «Spero vi schianterete». La odiava. Si lasciava sfuggire: «Io non so che farmene di una femmina così, prima o poi l'ammazzo». Il giorno dell'omicidio le aveva telefonato, infuriato. Le donne che lavoravano alla lavanderia vaticinarono: questa sera Barbara avrà grossi problemi, litigheranno.Il 24 maggio, sfinita, aveva annunciato a Roberto che dal giorno seguente non avrebbe lavorato fino al parto. Cominciarono a litigare, come al solito volarono degli schiaffi, una mano sul collo. Barbara mise un cuscino sul viso per smorzare le urla, racconta il marito. Quel particolare: il cuscino. Che Cicioni fosse morta soffocata la Procura lo seppe con certezza soltanto il 26 maggio, eppure Spaccino ne parlò con i giornalisti il giorno prima. Asfissia meccanica da strozzamento e soffocamente, recita l'autopsia. Nelle intercettazioni, una nipote chiese se zia Barbara venisse spesso maltrattata da Roberto. Il padre aggiunse: «Non solo l'ha maltrattata, l'ha anche ammazzata». Per il pubblico ministero è fondamentale collocare il delitto nel contesto famigliare. La coppia viveva accanto al clan Spaccino, il padre di Roberto e nove fratelli. Come dice la madre Rita: «La nostra è una classica famiglia patriarcale contadina» dove l'educazione dei figli passa anche attraverso la violenze e le botte. Un contesto «anaffettivo» e «indifferente», riassume l'accusa: quando Roberto svegliò il fratello dopo la mezzanotte del 24 maggio per avvertire che dei ladri avevano fatto irruzione e poi la famiglia scoprì che Barbara era morta, nessuno degli Spaccino fece le condoglianze alla madre o al padre della donna. D'altronde i rapporti tra Cicioni e la famiglia del marito erano tesi: un giorno il suocero Gerardo l'aveva rincorsa con una roncola poiché dopo un litigio Barbara aveva colpito il marito con un mestolo. La madre di Barbara, Simonetta Pangallo, seppe un giorno che la figlia aveva ricevuto uno schiaffo: «Mi disse: tutta la famiglia di Roberto è così, è una famiglia disastrata». Dopo l'omicidio, Roberto in carcere riceveva le visite dei parenti e per interminabili minuti parlava delle possibili perdite economiche nel caso fosse condannato. Ma è sulla violenza domestica che viene imperniata una parte dell'accusa:una violenza ciclica fatta di tensioni, esplosioni e riconciliazioni che facevano pensare a Barbara che Spaccino fosse davvero pentito. A chi le consigliava di divorziare, la donna invariabilmente rispondeva che non avrebbe voluto infliggere ai figli la sofferenza che aveva provato per il divorzio dei genitori avvenuto quando aveva soltanto undici anni. Ce la farò, probabilmente ripeteva a se stessa. Pensava alla separazione: non per le botte, ma per i tradimenti. Spaccino non poteva permetterselo: avrebbe perduto la lavanderia intestata alla moglie, la casa, i figli. Durante l'interrogatorio in carcere, non fece mistero del sottile complesso di inferiorità nei confronti di Barbara, che veniva da una famiglia colta e curiosa. Era lei il cervello di casa, disse. Era lei che aveva rilevato una lavanderia che rendeva migliaia di euro al mese. Movente perfetto.Giovedì tocchera alla difesa, che punta sulla totale innocenza. Un lavoro impervio. E proprio giovedì faranno comparsa in aula le attiviste della Rete delle donne umbre e Sommovimento femminista per un processo che ha ammesso come parte civile Telefono rosa e Comitato internazionale 8 marzo, ma stanno seguendo i lavori dell'aula anche le parti civili escluse: Giuristi democratici, Differenza donna.


Le conclusioni delle parti civili

12.05.2009
Giornata dedicata alle conclusioni delle parti civili, oggi.
Il primo a intervenire è l'avvocato Gatti, difensore dello zio di Barbara Cicioni, Massimo Buconi, e della zia, Elisa, sorella di Massimo, una delle testi principali del processo, una seconda mamma per Barbara, la sua confidente. L'avvocato si sofferma sulla necessità di una adeguata valutazione degli elementi di prova nel processo indiziario. Afferma, ricordando famose sentenze della Cassazione, che anche il processo indiziario ha una sua dignità, e che, dunque gli indizi emersi nel corso del procedimento, in quanto gravi, precisi, concordanti, non devono essere percepiti come un minus, in quanto contribuiscono a formare una prova piena. Per quanto concerne i suoi difesi, afferma, “il dolore non ha un prezzo”, proprio per l'intimità dei rapporti intercorrenti tra Barbara e Elisa, che “ha il cuore spezzato”, e per lo zio Massimo, che “è distrutto”. Chiesta una provvisionale di 50.000 euro per lo zio e 100.000 mila euro per la zia, immediatamente esecutiva.
La parola è passata all' avv. Ciace, per Telefono Rosa, una delle associazioni costituite.
“Non si deve puntare il dito contro l'imputato, ma contro il crimine che ha commesso”, afferma. “Roberto Spaccino era tutt'altro che un marito premuroso, non aveva la giusta considerazione della moglie”. La coppia era riservata, continua la Ciace, anche i parenti stretti ad esempio non sapevano che la coppia per un brevissimo periodo di tempo si era separata, dunque vanno valorizzate le testimonianze delle persone con cui lei davvero si confidava, come la zia Elisa. Le difese avanzate dall'imputato sono inverosimili, “un'offesa all'intelligenza di chi ascolta”. E poi continua elencando gli indizi di colpevolezza: il cappellino, appoggiato nella sua anomala posizione sul letto, come se fosse caduto dalla testa di chi aveva aggredito la donna, il cappellino. Chiede il risarcimento del danno simbolico di 1 euro per l'associazione ed il pagamento delle spese di costituzione in giudizio dell'associazione.
L'avv. Falcinelli prende la parola per il padre di Barbara Cicioni, evidenziando che il quadro che si offre oggi per valutare la responsabilità dell'imputato è indubbiamente chiaro, in quanto i gravi indizi di colpevolezza a carico di Spaccino, che già erano stati evidenziati come sussistenti dal Tribunale di Libertà e dal GUP, sono stati poi confermati ed ulteriormente avvalorati da quanto emerso in contraddittorio. Così pure è stato confermato il fatto che Spaccino mente su tutto.
La vicenda, afferma, va ricostruita “attraverso le testimonianze di chi ha vissuto con Barbara”, perchè da questo punto di vista “abbiamo una storia certa”. E ricorda la testimonianza di Paolo Cicioni, e come il padre aveva descritto Barbara, una ragazza riservata, che nascondeva la sua situazione per tutelare la sua dignità e quella dei figli, per non far soffrire il padre.
Poi, come molte è stato fatto in questi giorni, (disgraziatamente, aggiungo io) si spende negli elogi della vittima: lei era brava, lei faceva tutto bene, lei “adempiva il suo ruolo” ( e qui parte per la tangente raccontando le commissioni quotidiane: si alzava presto, andava a lavorare, puliva, lavoro, figli famiglia...)....per arrivare a dire cosa? Nella vecchia concezione patriarcale che distingue donne “per bene” e donne “per male”, voleva dire (ha detto, in sostanza): lei era perfetta, non aveva colpe, e più lei era brava (è stato dimostrato che era una brava madre e moglie, da molteplici testimonianze, nulla di disdicevole è emerso sul suo conto) più lui è colpevole, più la sua azione è disdicevole. Una argomentazione che non condivido affatto, un inutile pietismo, un inutile ancoraggio di Barbara a quei ruoli per rifuggire dai quali, trovando la sua dimensione di realizzazione, pure ha trovato la morte. Una espressione di quel processo a contrario che seziona la moralità della vittima per dedurre dalla sua “purezza” la maggiore empietà del colpevole. Quella stessa logica che, in altri casi, giustifica il “se l'era cercato”, o il “l'aveva provocato”, per la concessione delle attenuanti. Peraltro, per la loro irrilevanza giuridica, nessun vantaggio ne deriva alla difesa adducendo tali argomentazioni morali che pure sottendono una concezione stereotipata della donna. A che pro allora l'uso di queste leve morali?
Continua l'avv. Falcinelli, in commento agli epiteti rivolti da Spaccino alla moglie “contestare la paternità è la più grande offesa ad una donna....” (invero no, forse, ma fa parte dell'elogio alla probità della vittima iniziato prima, che prosegue notando con quale “cura” Barbara neppure al legale cui aveva chiesto informazioni per separarsi aveva fornito tutte le informazioni sulla sua relazione). Invero, il difensore nell'offrire tale quadro sulla moralità integra di Barbara, lo fa in risposta a quei “paralogismi che la difesa dell'imputato ha cercato di introdurre come prove difensive”, quegli sproloqui ancorati al nulla, (aggiungo io), con cui la difesa di Spaccino aveva sostenuto l'aggressività di Barbara per via dell'uso di medicine, quasi a voler dimostrare, “che in qualche modo il suo carattere era talmente distorto da non meritare rispetto...da essere esso stesso causa di quella violenza protratta negli anni”.
Invero dal mio punto di vista, non era necessario in sede di conclusioni rimarcare l'integrità morale di Barbara per rispondere alle argomentazioni sopra citate della difesa di Spaccino: il punto è che qualunque fosse stato il carattere di Barbara, fosse essa stata donna per bene o donna per male, meritava il rispetto della sua dignità, meritava di non subire violenza. In ogni caso la scelta delle argomentazioni difensive è un criterio del tutto personale che va rispettato in quanto tale, ma, nell'esercizio del diritto di informazione e di critica, non si può non notare che, se davvero si vuole avere un cambio culturale effettivo, i difensori non possono riproporre in aula argomentazioni morali, o rispondere ad argomentazioni morali con altre argomentazioni morali. Semmai è compito del difensore, in adempimento dei valori costituzionali, decostruire le argomentazioni morali attraverso una interpretazione dei fatti che esalti il rispetto della dignità della persona come valore assoluto, diritto fondamentale della persona che, se violato, è in sé un disvalore, è in sé un reato, aldilà del movente.
Concludendo, è stato richiesto per Paolo Cicioni un risarcimento del danno di 650.000 euro.
Viene poi fatto uscire dall'aula Paolo Spaccino, per aver esternato commenti inopportuni, e il Presidente invita a mantenere contegno in aula, silenzio assoluto e non arrecare nessun disturbo di sorta allo svolgimento dell'udienza.
Interviene quindi l'avv. Valeriano Tascini, difensore di Simonetta Pangallo, mamma di Barbara Cicioni, e dei due figli di Barbara, i piccoli Nicolò e Filippo.
“Oggetto di questo processo”, afferma, “è capire cosa è successo quella notte, come è morta Barbara”.
“Io assisto la madre, è stata qui perché aveva bisogno di sapere, di capire. Poi, nel corso del processo, è mutata la domanda: Simonetta non si chiedeva più come è morta mia figlia, ma come ha vissuto mia figlia, come è stata la sua vita con l'uomo che avrebbe dovuto renderla felice”.
Spiega il difensore: “Barbara sulla famiglia aveva investito tutto, aveva smesso di studiare, voleva farsi una famiglia, e oggi quella famiglia l'ha uccisa. Siamo qui a processare il marito, che con lei ha ucciso quella speranza, quel progetto di vita”.
E passa a contestualizzare la posizione della madre di Barbara, Simonetta, che non ha perso un'udienza al processo, sempre presente, sempre attenta. “Lei è stata qui per placare quel senso di colpa che comunque aveva, per non aver potuto dare il giusto supporto per evitare quel che è successo”. Su Simonetta sono state dette tante cose nel processo, sul suo divorzio, e indubbiamente, spiega il difensore, il passato di Simonetta “ha una ripercussione sul modo in cui Barbara si rapportava al suo menage familiare”.
Infatti, spiega il difensore, “una delle espressioni tipiche che Spaccino rivolgeva a Barbara in maniera talmente ricorrente che poi anche il figlio si rivolgeva alla madre con questo epiteto, in questa frase, -tu sei puttana come tua madre-, c'è tutto il valore che Spaccino dava alle persone, e soprattutto alle persone di sesso femminile, Spaccino infatti individua un comportamento inaccettabile nel fatto che Simonetta Pangallo si fosse separata”.
Simonetta lo aveva fatto per se stessa, per non stare più in una situazione che non era più dignitosa per lei, e per amore della figlia, nonostante il provvedimento del tribunale dei minori che gliela affidava, aveva scelto di lasciarla alla famiglia del padre, a cui la piccola era molto legata.
“Simonetta aveva fatto una scelta di vita autonoma, coraggiosa, che andava contro il senso comune che diceva nonostante tutto dentro una famiglia ci devi stare”, continua il difensore, invece, “la famiglia di provenienza di Spaccino, era la classica famiglia patriarcale”. L'avvocato riporta la testimonianza di alcune donne della famiglia Spaccino, che sostenevano che nella loro famiglia le donne hanno un ruolo fondamentale. “E' vero”, afferma il difensore, “nella famiglia contadina la donna ha un ruolo fondamentale, ma ce l'ha fin quando sta nel suo ruolo. La donna fa la donna e il maschio fa il maschio. Come il leone che è il re della foresta, anche se la leonessa fa tutto. La donna è importante ai fornelli, se pulisce la casa e sta coi figli, ma quando vuole contrastare i comportamenti tipici del maschio va fuori dal ruolo, e allora si merita gli epiteti tipici che gli rivolgeva Spaccino”: sei una sfaticata, sei una zozza, sei una troia come tua madre.
Simonetta era onesta quando diceva di non sapere niente rispetto alla violenza subita dalla figlia, perchè lei, essendo una donna forte, avrebbe denunciato, lo ha detto nella testimonianza, e la figlia sapeva che non avrebbe tollerato questo tipo di violenze. Simonetta nelle testimonianze ha parlato di anaffettività, di vilipendio, ha detto che sua figlia le aveva raccontato un solo episodio di violenza, in cui aveva reagito.... “Questo”, spiega il difensore, “era l'orizzonte psicologico di Simonetta Pangallo rispetto al fatto della violenza, quando poi dagli atti d'indagine ha scoperto il resto è stato un trauma, una scoperta dolorosa”.
Per Barbara Cicioni la scelta della famiglia era totalizzante, lavoro e famiglia, e sulla famiglia aveva investito tutto. La famiglia di provenienza era una famiglia in cui si poteva rifugiare …dalla parte del padre aveva gli zii cui era molto legata, dalla parte della mamma aveva sempre trovato affetto.
Un giorno a Roma, festeggiando con la famiglia il 50mo compleanno dello zio e vedendo le coccole che si scambiava con la moglie, Barbara si chiuse in bagno e scoppiò in un pianto dirotto.Questo episodio di quotidiana affettuosità, gli aveva creato una situazione tale che emotivamente non aveva retto. E pensate al dramma di questa ragazza: dice, ma io?
Penso a una frase che ha detto Roberto Spaccino, che la situazione nei primi 8 anni di relazione era peggiore, poi era migliorata...pensate a cosa può essere stata.
Pensate al padre di Barbara che è stato costretto ad andare all'uomo che stava costruendo la vita con la figlia, a dirgli -non picchiare mia figlia-, ed era la sua unica figlia.
Ed è un racconto risalente nel tempo quello di Paolo Cicioni. Poi è peggiorato lo stile di vita, il comportamento di Roberto nei confronti della moglie.
Questo è l'humus in cui si innesta la vicenda del 24 maggio.
E poi ci sono le testimonianze dei tanti episodi di violenza. Ce non vanno enfatizzati o minimizzati in sé, ma vanno capiti per le cose che ci dicono su quella relazione.
“Ad esempio, quando Gerardo, il padre di Spaccino, vede il figlio litigare con la moglie in giardino, e con la roncola in mano dice quella frase, rivolto a Barbara, a me ha molto colpito la frase: - se non la smetti di toccare mio figlio ti mando a casa tua e ti rompo la faccia....- Lei la sente questa minaccia, è una minaccia costante che arriva più o meno velatamente da tutti i parenti di Spaccino: devi star buona nel tuo ruolo, se esci da questo ruolo torni a casa tua, comportati bene”.
E ancora l'avv. Tascini ricorda la figura di Claudia Argentni, cognata di Barbara e sua testimone di nozze, e di come aveva spifferato a Roberto che il distillo non era venuto bene nonostante avessero deciso di non dirglielo che si arrabbiava. Perchè lo ha fatto ? Perchè Claudia sapeva quale era il suo ruolo di donna nell'ambito famigliare e che dunque quella cosa all'uomo andava detta.
E perchè Barbara l'aveva scelta come testimone ? Per inserirsi in un contesto familiare che l'aveva respinta, dove Barbara non poteva trovare nessuna sponda di riferimento, era controllata dalle altre donne.
E la prova che la relazione tra Barbara e Roberto era violenta la fornisce proprio la difesa di Spaccino con il tentativo di dimostrare a tutti i costi che era una coppia normale e si voleva bene, che andava a mangiare la pizza, faceva scuola di ballo ecc.
In realtà non ha senso che si cerchi la prova che non hanno mai litigato in pubblico: chi litiga alla sagra del Paese ? Eppure, una cosa ci dicono tutte quelle testimonianze, sottolinea l'avvocato: nessun dei tantissimi testi interpellati ci ha saputo riferire di anche un solo gesto di affetto in pubblico di Roberto nei confronti di Barbara, neanche un gesto di amore in quelle situazioni romantiche descritte. Allora forse si dovevano cercare episodi di affetto in pubblico, non di mancanza di violenza. Ma questi non sono emersi, perché non era questo il tipo di rapporto che c'era tra loro. Invece sono emersi i maltrattamenti, gli insulti, la denigrazione, e sono stati raccontati proprio dagli stessi familiari di Roberto Spaccino, dalle cognate, Claudia Argentini e Valeria Pasquini, che hanno raccontato gli episodi di violenza.
Poi, continua l'avvocato, “Non voglio fare ne il moralista ne il puritano quando faccio il riferimento ad Alessi, l'amico di spaccino con cui parlavano di donne, perchè qui ne esce il rapporto di Spaccino con le altre donne. Dalle narrazioni di Alessi emerge la considerazione che Spaccino aveva della moglie, e non parlo solo del rapporto sessuale con la colombiana, ma anche della relazione nei confronti delle vicine di lavanderia”.
Noi di queste relazioni ne dobbiamo tenere conto al solo fine di valutare la gelosia.
Barbara voleva salvare il rapporto, conservarla, la famiglia. Il suo limite era essere rispettata.
E non servono le testimonianze che ci dicono che fuori Roberto era cocchino e piacione: c'è letteratura sterminata su come anche stimati professionisti, persone che fuori sono piacione, dentro casa sottomettono la moglie, che deve accettare il suo ruolo.
Barbara era gelosa perchè ci teneva al proprio essere moglie, alla sua famiglia, e il tradimento sconvolgeva questo suo mondo che voleva crearsi, memore anche delle esperienze della famiglia di provenienza. Quando si parla della gelosia, rispetto a questi fatti non ci sono testimonianze di atti strani o eccessivi di barbara di gelosia, lei solo si rivolgeva al marito manifestando la propria gelosia, non c'è una volta una che qualcuno ha potuto dire che abbia fatto atti sconvolgenti di gelosia, come chi fa seguire il marito. Lei era gelosa a fronte di elementi concreti, gli squilli e i messaggini nascosti nel cellulare da parte sua, le chiamate di altre donne ecc.
Era giustamente ed a buona ragione gelosa.
Barbara era una persona con una propria dignità e che voleva la propria autonomia, si era fatta da sola, aveva smesso di studiare ma aveva una attività imprenditoriale e riusciva a mandare avanti la famiglia, aveva un solo aiuto, la donna delle pulizie il venerdì, e questo pure era malvisto perché rappresentava una spesa per le cose che avrebbe dovuto fare lei. Lei era consapevole delle proprie capacità, era diretta, quando doveva dire qualcosa lo diceva, lei era decisa, poneva un limite a tutto, e il limite era un rapporto chiaro e dignitoso con Spaccino.
Lui andava ogni anno a fare le cure da solo: è l'atteggiamento di una donna opprimente? E l'autonomia lavorativa a Deruta, e il pallone e le cene della società sportiva...lei dava a Roberto spazi di libertà ma voleva essere ripagata di questo con il suo rispetto.
E poche settimane prima con un sms aveva posto questo ultimatum: o la smetti o ti lascio e mi prendo i figli.
Lei era conscia del proprio valore.
E quella sera, quando ha reagito, ecco che c'è stato l'atto ultimo. In una escalation tipica della violenza, quando chi dovrebbe subire reagisce.......mi ha fatto addirittura male sul dito, continuava a dire Roberto......e diventa violenza incontrollabile.
A volte succede di avere comportamenti strani, ma certi comportamenti anche estremi rientrano nella normalità. La gelosia di barbara si scatenava davanti a eventi concreti, nella versione che ha dato spaccino di quella sera non emerge un evento concreto scatenante la gelosia, a meno che lui non fosse non in infradito come dice lui, ma ci sarebbe se lui fosse stato vestito bello e profumato, se lui voleva comunque uscire.
La conseguenza devastante di quella sera nasce dal fatto che i figli erano a letto, che se fossero stati svegli, non sarebbe degenerata. Le altre volte i figli implorano, lo si è visto nelle testimonianze, addirittura implorano, fateli smettere. I figli costituiscono un motivo di deterrenza, si litiga ma ci si frena a un certo punto. Quella sera invece i figli non c'erano, mancavano i freni.
La motivazione data da Roberto del litigio di quella sera era inaccettabile.
Su alcune questioni di quella sera la versione di Roberto è incerta, molto incerta su certe circostanze, invece per il resto dei fatti che l'hanno colpito aveva una memoria puntualissima.
È incerto sui particolari della casa, perché è certo di aver alterato la ricostruzione dei luoghi e dunque non sa come ricollocare mnemonicamente la situazione, avendo alterato la scena non sa più quali elementi possono tornare a suo favore: la cassetta, il trucchetto, la borsa, la luce...
E un altra considerazione di senso comune, ma che va fatta necessariamente.
Esci di casa, torni e trovi tua moglie in terra senza sensi e la casa a soqquadro. Te l'hanno ammazzata i ladri
Nicolò è un bimbo di otto anni, e ha paura dei ladri. Ma tu a tuo figlio, con tutte le delicatezze del caso, il giorno dopo non glielo chiedi Nicolò la mamma stanotte è stata poco bene, hai sentito qualcosa, se tua mamma si lamentava che stava male? È mio interesse come marito sapere chi ha ucciso mia moglie!!!
Per ammazzare una persona devi fare rumore, per buttare la roba per terra devi fare rumore, siccome ci dicono che si stava svegliando, posso pensare che ha sentito qualcosa, allora una domanda gli va fatta al bambino, se sei il marito di una donna ammazzata dagli estranei, glielo chiedi !! Altrimenti sei tu che sai che l'ammazzata, e quindi non ai domande. A Stefano Spaccino Nicolò gli chiese chiese, -ma che ci sono stati i ladri?- Allora qualcuno gli aveva detto qualcosa.... a maggior ragione avrebbe dovuto fare una domanda al figlio. Ha giustificato di non averla fatta, perché nessuno aveva detto ai bimbi dei ladri: l'ennesima falsità !
E ancora: se tu eri fuori di casa, torni e trovi tua mogli e in terra senza sensi.
Fase terminale della gravidanza in cui può succedere qualcosa: sei preparato a un parto in situazioni impreviste....se trovi tua moglie per terra, la prima cosa che ti viene da fare è chiamare l'ambulanza per evitare complicanze..la vede distesa e cosa fa, va a chiamare i parenti? E' inconcepibile, e le cose inconcepibili non sono vere nella normalità della vita umana. Dalle 0,30 passa tutto quel tempo?
Dopo questa ricostruzione della relazione di violenza e umiliazione tra Barbara e Roberto, e le incisive considerazioni su tutte le ambiguità che concernono la ricostruzione dello svolgersi dei fatti la sera dell'omicidio, l'avv. Tascini passa a parlare dei danni subiti dai 2 figli di Barbara per la morte della loro madre. Si è soffermato sulla ammissibilità della testimonianza de relatu dei piccoli, e sulla credibilità del contenuto delle dichiarazioni degli stessi, che ha trovato riscontro in altre testimonianze. “Il ruolo della madre” ha affermato “è insostituibile, è la figura materna quella che determina il carattere e indirizza nei primi anni. Hanno perso la madre e di conseguenza il ruolo di riferimento del padre. Perdere la propria quotidianità è stata per loro un danno irreparabile. Disancorare i figli dai propri affetti è la cosa peggiore, ha determinato in loro una prostrazione immensa”. L'augurio a questi bambini è quello di una vita normale e di un normale sviluppo affettivo, ma perchè questo si abbia, è stato sottolineato nelle perizie, sarà necessaria tanta attenzione.
Per la madre della vittima l'avvocato a quantificato il risarcimento del danno nella misura di 650.000 euro, per i due figli nella misura di 5milioni di euro.
Devo ammettere con sincerità che trovo un eccellente esempio di difesa il modo in cui è stata operata la ricostruzione dei fatti e specialmodo della relazione tra l'imputato e la vittima.
L'avv. Tascini con estrema chiarezza ha evidenziato un elemento chiave: l'azione delittuosa è stata determinata dal fatto che Spaccino non considerava la moglie una persona la cui dignità andasse rispettata in quanto tale, ma la disprezzava perché non sapeva vivere bene il proprio ruolo di moglie. All'origine degli atteggiamenti di Spaccino sta la sua cultura di provenienza ed il modo in cui egli era stato educato a relazionarsi con le donne, o in quanto schiave sottomesse in casa o in quanto oggetti di conquista sessuale fuori. Pur consapevole del disvalore dei propri comportamenti, Spaccino per tutta la durata della sua vita coniugale ha continuato a improntare la propria relazione con la moglie in termini assolutistici, nel rispetto di quei valori in cui era cresciuto pretendendo da lei la perfetta adesione a quel modello per non sfigurare agli occhi dei propri familiari, e punendo ogni mancanza con la violenza e la denigrazione della propria compagna.
Roberto Spaccino, non aveva rispetto di Barbara in quanto donna.
Di questo assunto fondamentale, il rispetto della dignità della donna in quanto persona, l'avv. Tascini ha fatto il perno della propria difesa, evidenziando come i reati commessi dallo Spaccino, i maltrattamenti e l'omicidio, rappresentassero espressione connessa e consequenziale dei valori patriarcali sui quali egli aveva fondato la propria unione con Barbara: libertà assoluta per lui, stretta osservanza delle regole e nessuna possibilità di contestazione per lei.
Tale difesa, mettendo in primo piano la centralità della vittima in quanto Persona, evidenzia anche la continuità tra il reato di maltrattamenti e quello di omicidio, per i quali la persona offesa risulta lesa, per tutta la durata della sua vita coniugale, nella sua libertà di autodeterminazione e nell'integrità psicofisica.Un femminicidio.
Senza dover ricorrere ad argomentazioni morali o ambigue distinzioni tra donne per bene e donne per male, l'avv. Tascini ha messo in primo piano la centralità del rispetto della Persona in quanto tale, tanto nella sua sfera di integrità psicofisica quanto nella sua libertà di scelta, implicitamente evidenziando in tal modo l'impossibilità di attenuare la portata criminosa di fatti lesivi di tali beni giuridici cercando giustificazioni di carattere morale.
In conclusione, prende la parola Teresa Manente per Comitato Internazionale 8 marzo.
Io, dice, “parlo per questa associazione che difende i diritti delle donne e le donne che vengono picchiate umiliate e offese fino ad essere uccise. Qui abbiamo sentito delle frasi dispregiative fatte nei confronti di queste donne...”. Quindi l'avvocata inizia un excursus in cui ripercorre la giurisprudenza della Cassazione in tema di maltrattamenti, evidenziando come le condotte integranti questo reato siano un elenco in fieri, legato all'evoluzione culturale della società.
Tra queste indubbiamente vi sono anche le ingiurie reiterate. Il reato di maltrattamento, spiega la Manente, va a colpire diritti costituzionali, l'integrità psicofisica, e ricorda che la violenza domestica è la prima causa di morte delle donne. Colpisce la donna in quanto donna.
E in riferimento al caso di Barbara si sofferma sulle ingiurie. “Sei una puttana come tua madre, sentita da testimoni diretti, almeno otto, hanno udito direttamente queste frasi. Immaginate che cosa grave per una donna, essere offesa anche come figlia”, spiega.L'hanno sentito loro dire queste cose.
Anche violenze fisiche testimoniate de relatu.
La violenza sulle donne, continua la Manente, è un fenomeno sociale e mondiale, che nasce perchè ha delle cause sociali, perchè legittima il rapporto uomo donna come rapporto di potere espresso anche attraverso la violenza. “Nessuno qui ha detto che Barbara reagiva a queste offese dopo che veniva umiliata anche davanti ai conoscenti. Lo sappiamo? Non possiamo saperlo. Quando un persona viene sottoposta a una continua serie di vessazioni psicologici, la propria libertà di autodeterminazione si comprime, la propria stima diminuisce. I maltrattamenti sono lesione all'integrità psicofisica della persona. È una situazione di soggezione. Anche la donna di servizio la conosceva questa situazione, di soggezione tale da nascondere a Roberto per paura la rottura di un monile”. E' il ciclo della violenza è stato testimoniato in tutte le sue fasi: falso pentimento...fasi della violenza....periodi di normalità.
Poi la Manente elogia l'operato della Pubblico Ministero, notando come grazie alla sua competenza specifica abbia reso possibile la contestazione anche del maltrattamento psicologico indiretto vissuto dai minori, che è un reato grave in quanto integra una lesione del diritto alla salute psicofisica del minore, nel caso di specie gravissima anche per gli altri fatti delittuosi commessi.
Quindi l'avvocata si sofferma su alcuni dati tecnici, rimarcando il valore probatorio delle macchie ipostatiche in relazione all'accertamento dell'ora della morte.
relazione peritale morte : girata alle 1,10-1,15 compaiono macchie
La richiesta di risarcimento danno è simbolica, di 1 euro.


Le conclusioni della difesa
verrà aggiornato il 14 maggio


Il dispositivo
verrà aggiornato nel momento stesso in cui la Corte comunicherà il dispositivo



PERCHÈ È IMPORTANTE LA PARTECIPAZIONE AL PROCESSO


Anche se giuridicamente non esiste una fattispecie di femminicidio, tutte le ipotesi criminose di reato contestato contestate allo Spaccino indubbiamente rientrano nella definizione sociologica e criminologica del concetto, così come elaborata a livello internazionale (vedasi Spinelli B., Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Franco Angeli, 2008).
Cioè l’uccisione di Barbara Cicioni rappresenta l’atto ultimo di una serie di comportamenti svilenti, denigratori, violenti, che hanno caratterizzato il rapporto di Spaccino con la propria coniuge: un costante annientamento della libertà e della personalità di Barbara “in quanto donna”, perchè aveva scelto di rivendicare la propria autonomia decisionale non interpretando il classico ruolo di moglie e madre sottomessa e casalinga.
Un femminicidio perché Barbara mai è stata considerata nell’ambito relazionale dal marito un “soggetto” la cui sfera di dignità, integrità fisica e libertà morale di autodeterminazione andasse rispettata.


Le considerazioni che seguono sono tratte da:
Spinelli B., Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Franco Angeli, 2008, pp. 165-167.


“(…) per la prima volta, anche in Italia, il 18 marzo 2008, in un’aula di Tribunale si è parlato di femminicidio.
Questo è avvenuto in merito ad una situazione particolarmente emblematica, già da un anno sotto i riflettori dei media ed oggetto di attenzioni da parte del movimento femminista: si tratta del processo per l’omicidio di Barbara Cicioni, donna giovane, con due bambini, autonoma, imprenditrice, strangolata e soffocata dal marito mentre era incinta di ben otto mesi e mezzo. Si è parlato di questo caso come del classico esempio di femminicidio, in quanto è emersa dalle indagini la noncuranza con cui il marito di Barbara, l’imputato, usò violenza su di lei per tutta la durata della vita matrimoniale, picchiandola, denigrandola, tradendola, svalutandone le potenzialità anche davanti ad estranei, perché così riteneva normale per la “sua” donna: l’uccisione di Barbara è stato l’atto ultimo di un continuum di violenze e sopraffazioni volte ad annientarne la personalità, in quanto con la sua forza, con il suo carattere deciso, lei non era quella moglie sottomessa che il marito avrebbe voluto che fosse. Ad oggi inoltre è evidente il senso di noncuranza ed impunità dell’imputato, infatti è stata avanzata l’ipotesi che, per depistare le indagini, egli abbia simulato (o fatto simulare) un furto, commesso a suo dire da stranieri, e, nonostante l’ipotesi del furto sia stata comprovata come estremamente improbabile dagli esiti delle indagini, comunque egli continua a proclamarsi innocente. In questo processo le donne hanno deciso di manifestare la propria presenza, per rimarcare la natura pubblica della violenza sulle donne, il fatto che «per ogni donna violentata, offesa, siamo tutte parte lesa». Oltre ai presidi del movimento femminista locale (Rete delle donne Umbre e Sommovimento femminista di Perugia) e nazionale (Rete Nazionale Femministe e Lesbiche), che rivendicava la matrice culturale del femminicidio di Barbara Cicioni, in questo processo sono state ammesse come parti civili ben cinque associazioni. Si tratta di un evento degno di nota in quanto, oltre a tre associazioni che hanno come scopo specifico ed essenziale la difesa dei diritti delle donne, sono state ammesse anche due associazioni che hanno quale scopo la tutela e l’applicazione delle Convenzioni e norme in difesa dei diritti umani, e che nel loro agire in concreto si sono adoperate soprattutto per l’autodeterminazione delle donne e l’eliminazione di ogni discriminazione basata sul genere o sull’orientamento sessuale. Nello specifico, è simbolico il fatto che Giuristi Democratici
9, nel sostenere la propria ammissione, abbiano sposato una tesi ben precisa, rimarcando il fatto che le condotte dell’imputato rientrano nell’ipotesi di femminicidio, e che, in quanto tali, «hanno provocato una lesione del diritto soggettivo proprio dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, da intendersi quale lesione dell’interesse concreto alla salvaguardia di situazioni storicamente circostanziate, di esplicita violazione dei diritti fondamentali delle donne e dei bambini riconducibili ad una cultura che non riconosce a tali soggetti la piena dignità di persone, ed in quanto tali assunte dall’associazione per farne oggetto delle proprie cure ai sensi delle finalità statutarie»10.
L’ammissione della costituzione dei Giuristi Democratici come parte civile in questo processo ha una fortissima valenza, in quanto riconosce che il femminicidio, e nello specifico la violenza domestica, non rappresenta solo una lesione dei diritti della donna, un fatto privato, né tantomeno è un “fatto di donne”, ma costituisce una profonda ferita per la società tutta, che, nel momento in cui alla donna non viene riconosciuta la dignità di Persona ed in quanto tale viene fatta oggetto di discriminazioni e violenze, è collettivamente responsabile per l’eliminazione di quella cultura e di quegli stereotipi che ancora oggi minano l’autodeterminazione, la libertà, la vita delle donne ed il sereno sviluppo dei bambini che, in ambito famigliare, assistono a queste violenze e ne subiscono le conseguenze in termini psicologici
11.
Il fatto che in Italia, oltre al tentativo di legittimazione sociale del concetto di femminicidio (volto a sottolineare come priorità nell’approccio alla violenza di genere il riconoscimento della sua matrice sociale e culturale e la responsabilità istituzionale nel contrasto a tali stereotipi che rendono possibile o legittimano la violenza), nel quale abbiamo visto impegnati il movimento femminista ed i Giuristi Democratici, il dibattito sia spostato in concreto in un aula di Tribunale, è emblematico di come dare un nome alla violenza misogina e sessista serva ad identificare il singolo episodio delittuoso come espressione di quella cultura discriminatoria che lo sottende, a contestualizzare l’atto di un singolo nel substrato sociale che lo rende possibile non stigmatizzandolo sufficientemente.
La presenza in aula di quante sono impegnate per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione che ostacoli l’autodeterminazione della donna, già di per sé «dispensa lo stigma», denota un cambiamento culturale: infatti questa presenza attiva rende il momento di accertamento della responsabilità, aldilà dell’esito, un momento di messa in discussione pubblica delle credenze e delle motivazioni del singolo che sottendono l’atto femminicida, nonché un momento di attenzione volto ad evitare un uso strumentalmente discriminatorio del diritto che la difesa dell’imputato potrebbe tentare, evidenziando piuttosto, come parti civili, il danno morale emergente per la comunità tutta da questi atti, in quanto lesivi della dignità umana.”

NOTE


1 Omicidio.
2 per aver agito per futili motivi e adoperando crudeltà verso la vittima
3 per aver commesso il fatto in danno del coniuge
4 Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli
5 Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli
6 Simulazione di reato
7 Calunnia
8 Aggravante di aver commesso il reato per occultarne un altro e assicurarsi l’impunità.
9 Rappresentati in giudizio dall’avv. Miserocchi, ma con un lavoro di squadra che ha visto me ed altre giuriste entusiaste partecipanti.
10 http://www.giuristidemocratici.it/what?news_id=20080319194017
11 Martini Eleonora, Omicidio Cicioni, «è femminicidio», in “Il Manifesto”, 20/03/2008, p. 6; Eduati Laura, Cicioni, «Fu femminicidio». Per la prima volta in Italia è una violazione dei diritti umani, in “Liberazione”, 22/03/2008, p. 7.

FEMMINICIDIO DI BARBARA CICIONI: ENTRO UNA SETTIMANA LA SENTENZA


FEMMINICIDIO DI BARBARA CICIONI: ENTRO UNA SETTIMANA LA SENTENZA

E' iniziata oggi la settimana conclusiva del processo di primo grado per il femminicidio di Barbara Cicioni. La Corte d'Assise entro lunedì prossimo dovrebbe arrivare a sentenza.

« Questo è, il femminicidio è ogni metodo sociale di egemonia maschile usato per distruggere i diritti, le potenzialità, le abilità, delle donne e il potere di vivere in sicurezza. È una forma di abuso, attacco, invasività, molestia, che degrada e subordina la donna. Conduce a uno stato di paura perenne, frustrazione, isolamento, esclusione e pregiudica la possibilità femminile di essere padrone della propria vita. Questa definizione vendica l’esclusione delle donne, scrivendone il nome nell’agenda della teorica, non che questo da solo sia sufficiente a causare dei cambiamenti sociali. Con questa nuova definizione non solo allargo l’impalcatura concettuale del crimine di femminicidio, ma anche mostro come relazioni di dominio ingiuste creano crimini che non sono stati neanche catalogati come tali dalla ricerca criminologica o vittimologica. […] Questa nuova definizione la si può capire meglio attraverso la voce delle vittime, l’analisi delle istituzioni sociali, delle strutture organizzative sociali, e gli schemi relazionali costruiti sulla tradizione. [...] Accettare una più ampia definizione di femminicidio è solo un passo nello spiegare e lottare contro il sessismo femminicida e il lungo, sfibrante processo che conduce alla morte fisica o interiore. Più studiamo il femminicidio più scopriamo quanto sia un fenomeno enigmatico, per noi che non oltrepassiamo i limiti, dar voce a ciò che prima non aveva voce, o sollevare il velo del rifiuto lì dove da sempre l’atmosfera è statica.»
(Nadera Shaloub Kevorkian)

Il femminicidio ci riguarda tutte, entra quotidianamente nelle nostre case, dalle pagine dei giornali, nelle aule dei tribunali, dalle confidenze di conoscenti che magari non sono neppure consapevoli di esserne vittime, e credono che, in fondo, tutto sommato, nella coppia il conflitto violento sia un fatto “normale”.
L'otto marzo 2008, insieme alla avvocata Monica Miserocchi, come me dei Giuristi Democratici, ho conosciuto di persona la mamma di Barbara Cicioni, Simonetta Pangallo.
Simonetta, che l'estate prima proprio a Perugia aveva sentito un nostro convegno sul femminicidio, organizzato dalla Rete delle Donne Umbre, aveva riconosciuto esattamente questo in quello che era stato fatto a sua figlia.
Per questo, ci aveva voluto conoscere.
Per questo, ci aveva chiesto di costituirci parte civile nel processo. Per evidenziare la potenziale, disarmante “normalità” di quello che era stato fatto a sua figlia.
Per me, che stavo lavorando alacremente sul tema, che stavo per pubblicare anche il libro con i risultati di alcune delle mie ricerche, è stata una grande sfida, e così anche per Monica, che quotidianamente si trova ad affrontare casi di violenza di genere, ma mai si era trovata a dover ricondurre in un'aula di tribunale quello che pure era il suo impegno associativo di analisi e critica al diritto vivente.
Insieme, ci siamo dette, ce la possiamo fare. Si tratta di aprire un varco, di fare breccia in un sistema giuridico che ancora rifiuta di cogliere il nesso stringente tra la messa in crisi della cultura patriarcale e il numero crescente di omicidi di donne, di violenze in famiglia denunciate e non più subite.
Si trattava di rompere una giurisprudenza consolidata: perchè una associazione si possa costituire parte civile, deve dimostrare di aver subito un danno diretto dal fatto reato, in quanto lesivo delle finalità statutarie essenziali dell'associazione stessa.
Per capirci, nel caso di specie giurisprudenza avrebbe ammesso l'ammissione di un centro antiviolenza, che ha come scopo essenziale la tutela dei diritti delle donne che hanno subito o rischiano di subire violenza di genere.
Invero, i Giuristi Democratici sono una associazione a tutela dei diritti umani, e la costituzione come parte civile implicava, attraverso l'atto di costituzione, spiegare perché il femminicidio lede non solo i diritti delle donne, ma quelli dell'umanità tutta, perché non riconoscendo alla donna la dignità di persona ne viola i diritti fondamentali.
Un passaggio difficile, ma che tuttavia ha trovato un riconoscimento giurisdizionale, costituendo un importante precedente: la nostra associazione era stata ammessa con ordinanza al processo dal GUP.
Sulla nostra scia, molte altre associazioni di donne hanno scelto, a seguito del nostro appello pubblico, di costituirsi parte civile. Ben cinque.
Tuttavia, la Corte d'Assise ha ritenuto di espellerne tre, tra cui noi. Il motivo: in accoglimento di una giurisprudenza molto restrittiva della Cassazione, si è inteso mancante il requisito del radicamento locale in assenza di una sede a Perugia.
Invero, la sfida non era finita, continuava infatti l'interesse a rendere pubbliche le dinamiche di approccio accusatorio e della difesa a questo tipo di delitti.
Di qui la partecipazione al processo, le mie impressioni sull'interrogatorio, i report sulle conclusioni.
Di qui anche la necessità di condividere fin dall'inizio questo percorso con il movimento femminista.

La GUIDA al processo, scritta all'inizio di questo percorso, la si può trovare qui:
http://www.gennarocarotenuto.it/2530-il-femminicidio-di-barbara-cicioni-guida-al-processo-nei-confronti-di-roberto-spaccino/

CALENDARIO UDIENZE

11 maggio: Requisitoria P.M.
12 maggio: Conclusioni parti civili
14 maggio: Conclusioni difesa
15 maggio: Eventuali repliche
Alla fine la Corte si ritirerà in Camera di Consiglio, ai fini della decisione, e quindi comunicherà il dispositivo (assoluzione o condanna e quantificazione della pena)

IL FATTO

La notte del 24/05/2007 Barbara Cicioni fu trovata nella sua camera da letto, a terra, morta, incinta di otto mesi e mezzo, nella villetta dove abitava insieme al marito, contigua alle abitazioni degli altri famigliari del marito.
Nell'immediatezza dei fatti si pensò che l'omicidio fosse opera di malviventi entrati in casa a scopo di furto (la stessa famiglia ne aveva già subìto uno nei mesi scorsi).
Il suocero di Barbara Cicioni accusò dei fatti “una banda di albanesi”, lasciando dichiarazioni stampa nel senso che “questi extracomunitari bisogna ammazzarli tutti”.
Tuttavia, il 29 maggio, poche ore prima del funerale di Barbara, Spaccino fu tratto in arresto e, sulla base delle rilevanze emerse dalle indagini, gli furono contestati i delitti di omicidio volontario aggravato (futili motivi, crudeltà verso la vittima, rapporto di coniugio) per aver cagionato la morte della moglie Barbara Cicioni, procurato aborto, maltrattamenti nei confronti della moglie e dei figli minori, calunnia nei confronti di ignoti, simulazione di reato (simulazione del furto).

IL CAPO DI IMPUTAZIONE PER CUI ROBERTO SPACCINO È STATO TRATTO A GIUDIZIO

Ecco nello specifico i reati contestati :
CAPO A) delitto p.e p. dagli art. 5751, 577 1° comma n. 4 in relazione ai nn. 1 e 4 dell’art. 612, 577 comma 23 cagionando la morte di Barbara Cicioni in stato di gravidanza all’ottavo mese, con reiterate percosse al capo ed al volto, stringendola al collo ed occludendole gli orifizi respiratori, così cagionandole la morte per insufficienza cardio-respiratoria acuta da meccanismo combinato asfittico (ostruzione meccanica violenta delle prime vie respiratorie determinante un quadro di asfissia meccanica da soffocamento e strozzamento) ed inibitorio (compressione delle strutture pascolo-nervose della regione laterale del collo). Con le aggravanti di aver commesso il fatto in danno del coniuge, per futili motivi (consistiti in una discussione famigliare) e per aver adoperato crudeltà verso la vittima in stato di avanzata gravidanza e dolorante sul letto a causa di esteso gonfiore alle gambe, ritenzione dei liquidi e diabete gravidico e non grado di opporre resistenza alle mortali percosse. Campignano di Marscian , 24 maggio 2007;
CAPO B) delitto p. e. p. dall’art. 572 c.p.4 per avere maltrattato la propria moglie Cicioni Barbara con continue ingiurie, percosse, violenze psicologiche, nel corso dell’intera vita matrimoniale fino all’avvenuto omicidio di cui al capo A. Campignano di Marsciano, fino al 24 maggio 2007;
CAPO C) delitto p. e. p. dall’art. 572 c.p.5 per avere maltrattato i propri figli minori Nicolò e Filippo con violenza psicologica (costringendo i medesimi ad assistere ai continui soprusi e maltrattamenti nei confronti della madre) e minacce di morte. Campignano di Marsciano, fino al 24 maggio 2007;
CAPO D) delitto p. e. p. dagli art. 81, 3676, 3687, 61 n. 2 c.p.8 per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire l’impunità del delitto sub A, con dichiarazioni rese al P.M. in data 25.05.2007 (reiterato in data 26.05.2007) falsamente accusando soggetti ignoti di essersi introdotti a scopo di furto nella propria abitazione e di aver commesso il delitto di omicidio in danno di Ciccioni Barbara, pur sapendoli innocenti, nonché per aver simulato all’interno della propria abitazione, dopo avere egli commesso il delitto sub A, tracce tali da fare ritenere consumato il delitto di furto ad opera di ignoti (cassetti aperti ed apparentemente rovistati, cassaforte aperta con le chiavi inserite e vuota, etc.). Campignano di Marsciano, 24, 25, 26 maggio 2007;
CAPO E) delitto p.e p. dall’art. 18 commi 1, 2 e 4 L. 194/78 per aver causato l’interruzione della gravidanza di Barbara Cicioni mediante le lesioni mortali descritte sub A. Campignano di Marsciano, 24 maggio 2007;
CAPO D) delitto p.e p. dall’art. 368 c.p. per avere, nel corso dell’intero interrogatorio, reso al P.M. in data 15.06.2007, falsamente accusato soggetti ignoti di essersi introdotti a scopo di furto nella propria abitazione ed avere commesso il delitto di omicidio di Cicioni Barbara, pur sapendoli innocenti. Perugia, 15.06.2007. Per questo reato si è già avuta sentenza di assoluzione da parte del GUP di Perugia in quanto si è ritenuto che la fattispecie di reato non possa essere integrata nel momento in cui, come nel caso di specie, l'accusa era rivolta contro ignoti (banda di albanesi).

L'ESAME DELL'IMPUTATO

LE CONCLUSIONI DEL DIBATTIMENTO

La requisitoria del Pm

Condanna all'ergastolo, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale, pubblicazione della sentenza, condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere, nonché delle parti civili, più il risarcimento del danno. Ed altri tre anni di reclusione, per la simulazione di reato.
Questa la richiesta del Pubblico Ministero, dott. ssa Duchini, presentata alla Corte di Assise al termine della sua requisitoria, durata ben nove ore, nella quale,capo per capo, imputazione per imputazione, ha con precisione riepilogato i punti principali dell'accusa per i singoli reati contestati all'imputato.
Gli elementi emersi in corso di dibattimento a suffragare le singole accuse sono gravi, precisi e concordanti. E non possono essere considerati, spiega la P.M, singolarmente, atomizzandoli per neutralizzarne la portata, ma vanno valutati alla luce di quello che è il contesto socio culturale.
A partire dalla definizione della famiglia Spaccino fornita dalla sua stessa madre: “la classica famiglia patriarcale contadina”.

Adesso sono davvero molto stanca e mi scuso per il mancato aggiornamento....a domani mattina !!

Le conclusioni delle parti civili
verrà aggiornato il 12 maggio

Le conclusioni della difesa
verrà aggiornato il 14 maggio

Il dispositivo
verrà aggiornato nel momento stesso in cui la Corte comunicherà il dispositivo

PERCHÈ È IMPORTANTE LA PARTECIPAZIONE AL PROCESSO

Anche se giuridicamente non esiste una fattispecie di femminicidio, tutte le ipotesi criminose di reato contestato contestate allo Spaccino indubbiamente rientrano nella definizione sociologica e criminologica del concetto, così come elaborata a livello internazionale (vedasi Spinelli B., Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Franco Angeli, 2008).
Cioè l’uccisione di Barbara Cicioni rappresenta l’atto ultimo di una serie di comportamenti svilenti, denigratori, violenti, che hanno caratterizzato il rapporto di Spaccino con la propria coniuge: un costante annientamento della libertà e della personalità di Barbara “in quanto donna”, perchè aveva scelto di rivendicare la propria autonomia decisionale non interpretando il classico ruolo di moglie e madre sottomessa e casalinga.
Un femminicidio perché Barbara mai è stata considerata nell’ambito relazionale dal marito un “soggetto” la cui sfera di dignità, integrità fisica e libertà morale di autodeterminazione andasse rispettata.

Le considerazioni che seguono sono tratte da:
Spinelli B., Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Franco Angeli, 2008, pp. 165-167.

“(…) per la prima volta, anche in Italia, il 18 marzo 2008, in un’aula di Tribunale si è parlato di femminicidio.
Questo è avvenuto in merito ad una situazione particolarmente emblematica, già da un anno sotto i riflettori dei media ed oggetto di attenzioni da parte del movimento femminista: si tratta del processo per l’omicidio di Barbara Cicioni, donna giovane, con due bambini, autonoma, imprenditrice, strangolata e soffocata dal marito mentre era incinta di ben otto mesi e mezzo. Si è parlato di questo caso come del classico esempio di femminicidio, in quanto è emersa dalle indagini la noncuranza con cui il marito di Barbara, l’imputato, usò violenza su di lei per tutta la durata della vita matrimoniale, picchiandola, denigrandola, tradendola, svalutandone le potenzialità anche davanti ad estranei, perché così riteneva normale per la “sua” donna: l’uccisione di Barbara è stato l’atto ultimo di un continuum di violenze e sopraffazioni volte ad annientarne la personalità, in quanto con la sua forza, con il suo carattere deciso, lei non era quella moglie sottomessa che il marito avrebbe voluto che fosse. Ad oggi inoltre è evidente il senso di noncuranza ed impunità dell’imputato, infatti è stata avanzata l’ipotesi che, per depistare le indagini, egli abbia simulato (o fatto simulare) un furto, commesso a suo dire da stranieri, e, nonostante l’ipotesi del furto sia stata comprovata come estremamente improbabile dagli esiti delle indagini, comunque egli continua a proclamarsi innocente. In questo processo le donne hanno deciso di manifestare la propria presenza, per rimarcare la natura pubblica della violenza sulle donne, il fatto che «per ogni donna violentata, offesa, siamo tutte parte lesa». Oltre ai presidi del movimento femminista locale (Rete delle donne Umbre e Sommovimento femminista di Perugia) e nazionale (Rete Nazionale Femministe e Lesbiche), che rivendicava la matrice culturale del femminicidio di Barbara Cicioni, in questo processo sono state ammesse come parti civili ben cinque associazioni. Si tratta di un evento degno di nota in quanto, oltre a tre associazioni che hanno come scopo specifico ed essenziale la difesa dei diritti delle donne, sono state ammesse anche due associazioni che hanno quale scopo la tutela e l’applicazione delle Convenzioni e norme in difesa dei diritti umani, e che nel loro agire in concreto si sono adoperate soprattutto per l’autodeterminazione delle donne e l’eliminazione di ogni discriminazione basata sul genere o sull’orientamento sessuale. Nello specifico, è simbolico il fatto che Giuristi Democratici
9, nel sostenere la propria ammissione, abbiano sposato una tesi ben precisa, rimarcando il fatto che le condotte dell’imputato rientrano nell’ipotesi di femminicidio, e che, in quanto tali, «hanno provocato una lesione del diritto soggettivo proprio dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, da intendersi quale lesione dell’interesse concreto alla salvaguardia di situazioni storicamente circostanziate, di esplicita violazione dei diritti fondamentali delle donne e dei bambini riconducibili ad una cultura che non riconosce a tali soggetti la piena dignità di persone, ed in quanto tali assunte dall’associazione per farne oggetto delle proprie cure ai sensi delle finalità statutarie»10.
L’ammissione della costituzione dei Giuristi Democratici come parte civile in questo processo ha una fortissima valenza, in quanto riconosce che il femminicidio, e nello specifico la violenza domestica, non rappresenta solo una lesione dei diritti della donna, un fatto privato, né tantomeno è un “fatto di donne”, ma costituisce una profonda ferita per la società tutta, che, nel momento in cui alla donna non viene riconosciuta la dignità di Persona ed in quanto tale viene fatta oggetto di discriminazioni e violenze, è collettivamente responsabile per l’eliminazione di quella cultura e di quegli stereotipi che ancora oggi minano l’autodeterminazione, la libertà, la vita delle donne ed il sereno sviluppo dei bambini che, in ambito famigliare, assistono a queste violenze e ne subiscono le conseguenze in termini psicologici
11.
Il fatto che in Italia, oltre al tentativo di legittimazione sociale del concetto di femminicidio (volto a sottolineare come priorità nell’approccio alla violenza di genere il riconoscimento della sua matrice sociale e culturale e la responsabilità istituzionale nel contrasto a tali stereotipi che rendono possibile o legittimano la violenza), nel quale abbiamo visto impegnati il movimento femminista ed i Giuristi Democratici, il dibattito sia spostato in concreto in un aula di Tribunale, è emblematico di come dare un nome alla violenza misogina e sessista serva ad identificare il singolo episodio delittuoso come espressione di quella cultura discriminatoria che lo sottende, a contestualizzare l’atto di un singolo nel substrato sociale che lo rende possibile non stigmatizzandolo sufficientemente.
La presenza in aula di quante sono impegnate per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione che ostacoli l’autodeterminazione della donna, già di per sé «dispensa lo stigma», denota un cambiamento culturale: infatti questa presenza attiva rende il momento di accertamento della responsabilità, aldilà dell’esito, un momento di messa in discussione pubblica delle credenze e delle motivazioni del singolo che sottendono l’atto femminicida, nonché un momento di attenzione volto ad evitare un uso strumentalmente discriminatorio del diritto che la difesa dell’imputato potrebbe tentare, evidenziando piuttosto, come parti civili, il danno morale emergente per la comunità tutta da questi atti, in quanto lesivi della dignità umana.”

NOTE

1 Omicidio.
2 per aver agito per futili motivi e adoperando crudeltà verso la vittima
3 per aver commesso il fatto in danno del coniuge
4 Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli
5 Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli
6 Simulazione di reato
7 Calunnia
8 Aggravante di aver commesso il reato per occultarne un altro e assicurarsi l’impunità.
9 Rappresentati in giudizio dall’avv. Miserocchi, ma con un lavoro di squadra che ha visto me ed altre giuriste entusiaste partecipanti.
10 http://www.giuristidemocratici.it/what?news_id=20080319194017
11 Martini Eleonora, Omicidio Cicioni, «è femminicidio», in “Il Manifesto”, 20/03/2008, p. 6; Eduati Laura, Cicioni, «Fu femminicidio». Per la prima volta in Italia è una violazione dei diritti umani, in “Liberazione”, 22/03/2008, p. 7.