FEMMINICIDIO

lunedì 24 novembre 2008

FEMMINICIDIO, QUESTIONE DI POTERE

INTERVISTA
di Geraldina Colotti


Barbara Spinelli, dell'associazione Giuristi democratici, è autrice del libro Femminicidio (Franco Angeli).
Con quale valenza - le abbiamo chiesto - può essere impiegato in Italia un neologismo che richiama la strage delle donne di Ciudad Juarez, in Messico?
«L'eredità delle donne del Sudamerica, che con quel termine indicavano l'assassinio brutale di una donna - ci ha risposto -, è stata impiegata diversamente.Il femminicidio riguarda ogni forma di violenza fisica o psicologica commessa contro la donna in quanto tale quando rifiuta di aderire al ruolo che la società patriarcale vorrebbe imporle (moglie, madre, oggetto sessuale). Non implica solo l'atto commesso da un singolo uomo, ma tutti quelli attuati dalla cultura patriarcale, assunta a modello di riferimento dai media. Atti in cui viene annientata non solo la fisicità della donna, come nell'omicidio, ma anche la sua soggettività: violenze e discriminazioni, anche di stampo istituzionale, più sottili e difficili da individuare, che ledono la dignità e la libertà della donna.
Non c'è il rischio di cadere nel vittimismo? Il movimento delle donne in Italia ha riflettuto altrimenti sulla libertà femminile.
So che c'è questo rischio, dovuto anche all'impiego da parte di organizzazioni come l'Udi che, nella campagna «stop femminicidio» hanno banalizzato la storia delle donne che c'era dietro. Per evitare questo, nel mio libro ricostruisco la genesi del termine in quanto strumento di lotta e di liberazione. E mi auguro che non venga usato per adottare politiche protezionistiche. Io parto dal concetto che il compito delle istituzioni è quello di promuovere l'autodeterminazione della donna, non trattarla come soggetto debole.Trovo però che un certo femminismo italiano sia stato molto chiuso in se stesso o comunque sensibile solo alle influenze colte. Si è creata, in passato, una discrasia tra una produzione alta e accademica del pensiero femminista, e la condizione delle lotte per la rivendicazione dei diritti. La lotta contro il femminicidio, oltreché battersi per prevenire la violenza sulle donne, indica che violenza e discriminazione di genere, qualsiasi forma assumano, hanno alla base un pensiero che non riconosce nella donna un soggetto alla pari, non le riconosce la dignità di persona. E quindi è necessario cambiare il mondo e la società in cui viviamo: in maniera radicale, a partire dalle relazioni fra i generi e dalla relazione di potere fra i generi.
Come può darsi questa radicalità nella situazione italiana?
Se il femminicidio è un fatto politico che riguarda tutta la società, non ci si può attestare sulla singola azione o sul singolo disegno di legge. Il richiamo non è a un diritto legato a un'appartenenza, come quello degli anziani, ma al concetto di diritti umani fondamentali della persona. La posizione di subordinazione occupata dalle donne è frutto di una relazione di potere diseguale che si è costituita storicamente e viene perpetuata attraverso l'indifferenza istituzionale verso tutte le tematiche che riguardano i diritti delle donne. Riporto un fatto sconosciuto ma che è diventato il punto centrale della mia battaglia come giurista democratica. La Cedaw è l'organismo che, a livello mondiale, rappresenta una carta dei diritti umani delle donne, ratificata anche dal Messico e dall'Italia. Non è protetta come le altre da una corte internazionale, ma prevede che i governi ogni quattro anni facciano un rapporto al comitato sulle azioni positive promosse in ogni campo per garantire l'autodeterminazione della donna ed eliminare le forme di discriminazione. Tutti i governi in tutti i siti delle Pari opportunità pubblicano questi rapporti che mandano al comitato, ma nessuno mai e in specie il governo italiano ha tradotto o diffuso le raccomandazioni che provengono dal comitato della Cedaw.
Ad esempio?
L'introduzione della nozione di violenza di genere nella legislazione. Un codice di autoregolamentazione dei media perché cessino di ritrarre la donna in ruoli stereotipati... Ma ben poco potrà farsi senza la forza delle donne. Si porta spesso ad esempio positivo la legge spagnola sulla violenza sulle donne, ma non è piovuta dal cielo. Le spagnole, il 25 di ogni mese, in ricordo della giornata internazionale contro la violenza delle donne, andavano a manifestare alla Porta del sol rivendicando la necessità di politiche di contrasto. Il movimento femminista italiano ha riacquistato una compattezza, una presenza sebbene minima solo a partire dalle manifestazioni dell'anno scorso in difesa dell'autodeterminazione e dell'aborto. È un peccato che noi non siamo riuscite a scendere in piazza in maniera così decisa e tempestiva come hanno fatto gli studenti, perché avevamo ben più argomenti per farlo: a partire dal ddl Carfagna sulla prostituzione, ma anche prima col governo di centrosinistra...

Manifesto, 22 novembre 2008

TANTI DELITTI. E' FEMMINICIDIO

di Adele Cambria

Tra le mura di casa gran parte delle brutalità. Il marito o il convivente è spesso l’aguzzino. All’origine ci sono sessismo e misoginiaCosì Barbara Spinelli, una giovane giurista bolognese che collabora con l’Associazione Giuristi Democratici, descrive nel suo libro, «Femminicidio», (Franco Angeli), la strage di donne scoperta alla metà degli Anni Novanta in Messico. Le domande su quella discarica di corpi femminili nel deserto sono tante.
Quanti corpi vi furono seppelliti? C’era una organizzazione che convogliava gli assassini verso quel cimitero clandestino?
«Si calcola che ne furono seppelliti oltre 4500. Purtroppo non è stata provata l’esistenza del reato di associazione a delinquere nei processi che si sono svolti. Nonostante che Patricia Gonzales, il Pubblico Ministero speciale nominato dal Governo, abbia chiesto l’incriminazione di 231 funzionari corrotti che tendevano a coprire gli assassinii».Le ipotesi più credibili sulla strage di Ciudad Juarez sono, nell’ordine: vendette tra bande rivali di narcotraffico, tentativi di immigrazione clandestina attraverso il confine con gli Usa, «punizioni esemplari» per scoraggiare le rivendicazioni sindacali delle donne indigene che lavorano nelle multinazionali Usa delocalizzate in Messico. «Queste donne erano pagate un dollaro al giorno» - mi dice Barbara. E conclude: «La vita di giovani donne povere ,spesso indigene, non ha nessun valore in una cultura machista».
Ed è proprio qui il nodo-la cultura machista - che, alla luce del termine “Femminicidio”, da poco immesso anche nel femminismo militante italiano, consente di collegare l’horror del cimitero clandestino messicano con le cifre degli assassinii di donne in Italia. Secondo le statistiche compilate dalla Casa delle Donne di Bologna, dal primo gennaio 2007 al 31 gennaio 2008 le donne assassinate in Italia sono state 126.In testa, tra gli autori dei delitti, il marito(35%), quindi l’ex marito(8%),seguono gli altri ex: convivente, fidanzato,amante(7%).La prima parte del libro di Barbara è dedicata alla genesi della parola «Femminicidio». Vi si analizza l’antologia curata dalla sociologa e criminologa femminista statunitense Diana Russell ed intitolata «The politics of women killing» (1992). L’autrice identifica la caratteristica dell’uccisione di una donna nella misoginia o nel sessismo. Nel primo caso è l’odio per il genere femminile ad armare la mano dell’assassino, nel secondo il virus «femminicida» si scatena dalla convinzione maschile della propria superiorità. Più o meno inconsciamente, l’assassino vuole punire chi, donna, «non sta al proprio posto».
Chiedo ancora a Barbara che cosa si sta facendo in Italia per ottenere il riconoscimento politico e giuridico del femminicidio?Pensate di sviluppare anche una azione diretta a introdurre nel nostro Codice Penale il reato di «femminicidio»?
«Non credo che si debba pensare alla formulazione di un nuovo reato. Abbiamo invece proposto che misoginia e sessismo siano considerati,al pari del razzismo,una aggravante nell’assassinio di una donna.

l’Unità, 22/11/2008

mercoledì 19 novembre 2008

Intervista sul femminicidio

24 ottobre 2008 10:36

Vittime: femminile plurale

Barbara Spinelli presenta a Faenza il suo libro del femminicidio, da Ciudad Juarez all'Italia.

Dalla pagine di cronaca sono studentesse uccise dai fidanzati, prostitute vittime di serial killer, bambine orientali nate in famiglie già troppo numerose.
Ma «femminicidio» non significa solo «omicidio di donne»: è un neologismo che indica un concetto più ampio di violenza di genere, come spiega la giurista Barbara Spinelli, ospite dell’associazione Sos Donna di Faenza venerdì 24 ottobre per presentare il suo libro «Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale»
Innanzitutto. Cosa significa «femminicidio»?
«E’ un’ulteriore derivazione di “femicide”, concetto nato dopo la denuncia del caso della città messicana di Ciudad Juarez, divenuto ormai l’emblema delle atrocità nei confronti del genere femminile. Con quel termine, già dagli anni 90, si intendeva l’omicidio di una donna “in quanto donna”, sottolineandone la matrice misogina e sessista. Il concetto ha iniziato a farsi strada quando è stato riconosciuto quanto lo stupro abbia come significato un esercizio di potere nei confronti delle donne. Con l’evoluzione del termine in “femminicidio” si è voluto ampliare il raggio, includendo ogni tipo di violenza, fisica, psicologica, sessuale, volto all’annientamento della donna».
Qualcosa accomuna questo fenomeno nei diversi angoli della terra?
«La violenza si scatena nel momento in cui la donna sceglie di uscire dal ruolo che la società le ha cucito addosso: moglie, madre e oggetto sessuale. Quando una donna inserisce una componente di autodeterminazione nella sua vita, allontanandosi da un modello che la vuole sottomessa, innesta un corto circuito nel sistema di potere tra i generi. Spesso gli episodi di violenza più cruenti si sviluppano in una fase di distacco».
La situazione in Italia?
«I centri antiviolenza hanno svolto e svolgono tuttora un compito importante nell’acquisizione di consapevolezza. Per esempio: in casi di separazioni da soggetti potenzialmente pericolosi possono essere applicati provvedimenti restrittivi che allontanino il maltrattante dalla donna e dagli eventuali figli. Ma a volte sono gli avvocati difensori stessi a non conoscerli e richiederli o la scarsa tempestività dei tribunali a comprometterne la messa in atto. Purtroppo ancora oggi ci si rende conto del pericolo quando la situazione è già grave».

Femminicidio in Messico: continuano le minacce alle attiviste.

Messico: attiviste dei diritti umani in serio pericolo
Amnesty International lancia un'azione urgente per Marisela Ortíz Rivera e María Luisa García AndradeAmnesty International chiede con urgenza alle autorità messicane protezione per le attiviste dei diritti umani Marisela Ortíz Rivera e María Luisa García Andrade dell'associazione "Nuestas Hijas de regreso a Casa" che da anni si batte per chiedere giustizia riguardo i femminicidi di Ciudad Juarez. Le attiviste e le loro famiglie sono state minacciate di morte poche settimane fa dopo l'uscita del documentario "Bajo Juárez: la città che divora le sue figlie" in cui insieme ad altri familiari di vittime denunciano l'impunità degli assassini di donne a Ciudad Juarez.Amnesty International esprime forte preoccupazione per le attiviste di Nhrc, che già in passato sono state minacciate, l'ultimo episodio nel maggio 2008.Da allora, nonostante la pressione di Ong a carattere locale e internazionale presso le autorità messicane, non ci sono stati progressi nelle indagini per individuare i responsabili delle minacce. Inoltre María Luisa García Andrade e Marisela Ortíz Rivera hanno ricevuto scarsa protezione dalle autorità, nonostante la Commissione inter-americana per i diritti umani abbia ordinato al governo messicano di fornire loro adeguata protezione.
Firma subito anche tu l'appello per chiedere sicurezza per le attiviste dei diritti umani di Ciudad Juarez:
oppure link su www.amnesty.it

lunedì 10 novembre 2008

PROSTITUZIONE.

Sperando di avere un pò di tempo per curare il blog ed aggiungere ulteriori appunti in tema, che ho molto a cuore di sviluppare, segnalo l'ottimo lavoro di raccolta dati e info delle Figlie Femmine, al cui blog rimando nel link. Lì troverete il link ad ulteriori documenti.
Da atelierbetty.noblogs.org
A settembre il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge presentato dalla Ministra Mara Carfagna sulle misure contro l´esercizio della prostituzione che, modificando la legge Merlin, introduce il reato di esercizio della prostituzione in strada e "in luogo pubblico".Le "Misure contro la Prostituzione" messe a punto dal Ministro per le Pari Opportunità andranno a colpire sia le donne che si prostituiscono in strada che i loro clienti con un´ammenda da 200 a 3000 euro o addirittura con l'arresto da cinque a quindici giorni. Ma siamo sicure che il ddl presentato dalla Carfagna con i ministri Maroni e Alfano sia la soluzione giusta? Noi non lo siamo.Il mercato del sesso è un mondo complesso che chiama in causa innumerevoli dimensioni: le politiche sull´immigrazione, la povertà, le disuguaglianze di genere e il diritto di ogni donna a poterscegliere come gestire la propria sessualità e il proprio corpo.Questa serata, dunque, sarà un´occasione per raccontare il mercato del sesso fuori dalle banalizzazioni e dai moralismi della politica e della cattiva informazione, per offrire delle posizioni alternative di politiche sul mercato del sesso che mettono al centro i diritti delle persone che si prostituiscono.

Ne parliamo con: Barbara Spinelli Giuristi Democratici - Porpora Marcasciano MIT - Sandro Bellassai ricercatore precario di Storia contemporanea all'Università di Bologna e Maschile Plurale
Modera e introduce: Betty - Sexyshock

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Appunti in forma libera:

Quando si parla di prostituzione si nomina il mestiere più antico del mondo senza ricordare che non è mai stato riconosciuto come mestiere. Bisogna ricordare che per chi pratica la prostituzione è un mezzo e non un fine. E' un mezzo per realizzare un progetto di vita o per sfuggire alla miseria, per realizzare dei sogni.
Il disegno di legge vorrebbe eliminarla perché la prostituzione è ad oggi considerata uno dei quattro principali elementi che creano allarme sociale e paura.
Partiamo da come l'esercizio della prostituzione è cambiato negli anni.
La prostituzione ha sempre avuto un suo senso interno o una sua saggezza interna, le prostitute di solito non esercitano in zone visibili, si scelgono posti tranquilli e discreti. Fino a quando è esistita la figura della “prostituta sociale”, cioè la prostituta che esercitava nel modo classico, e che aveva un nome, una storia, un ruolo sociale riconosciuto, questa saggezza è stata rispettata.
Oggi questa figura è stata sostituita dalla “prostituta massa”, clandestina senza nome e senza storia una soggettività che esercita maggiormente per le strade. La prostituta sociale aveva un nome, la prostituta massa si definisce per nazionalità (“le rumene” “le nigeriane”) e vive una storia spezzata rispetto al proprio passato, perché il legame tra la vita prima di prostituirsi e la vita da prostituta è completamente reciso.
Nascono così delle storie degenerate, situazioni in cui tutte le regole interne alla prostituzione saltano. Ma questa degenerazione è stata voluta dal potere per servirsi della paura e dell'allarme sociale! Ad esempio l'aggressione a Roma alle trans sudamericane. Quella degenerazione è stata voluta, era una situazione lasciata a se stessa volontariamente, per provocare un'azione guidata da giovani fascisti sostenitori della giunta Alemanno e dei suoi decreti anti-prostituzione.
Le emergenze sociali vengono manovrate da burattinai sapienti ben attenti a dimenticare le buone esperienze.
Come ad esempio il progetto di riduzione del danno di Venezia che ha portato al tavolo tutti gli attori coinvolti tra cui operatori sociali forze dell'ordine e residenti e prostitute. La soluzione è stata trovata nello “zoning”. Ha funzionato perchè è l'unico progetto in Italia che ha valenza di servizio e perciò ha continuità.
Questi progetti sono nati 13 anni fa. I primi furono Venezia Bologna. Quello di Bologna saltò con la giunta Guazzaloca. Il progetto di Bologna era un'eccellenza ma nel 2000 fu cassato in due giorni a mezzo stampa. Dopo soli due anni la giunta Guazzaloca si è vista costretta a richiamare il progetto chiedendo però che non si parlasse di “riduzione del danno”.
Un altro aspetto della legge Carfagna e dei provvedimenti locali che ci deve preoccupare è l'ambiguità che si esprime nella normazione dei corpi delle donne e delle trans attraverso la perseguibilità per il semplice abbigliamento indecoroso.
Grande assente da ogni discorso sulla prostituzione resta sempre il cliente.
A partire dal discorso pubblico si parla sempre e in modo esclusivo di prostitute. In realtà esiste anche una “domanda” oltre all'offerta: il cliente.
Questo tipo di rimozione ha diverse cause. Il lato maschile resta invisibile perché innanzitutto il genere maschile è dominante e uno degli attributi del potere è godere dall'assenza dallo spazio critico o pubblico della società.
Nell'immaginario del cliente la prostituta è qualcosa di sporco perché è specchio della propria sporcizia. Il desiderio maschile ha così una doppia valenza. Gli uomini hanno sempre considerato la l'identità come scissa tra una ragione - nobiltà d'animo - e un corpo portatore di istinti ignobili e di violenza. La sfera sessuale è quella in cui questa contraddizione si esprime al massimo. La prostituta è lo strumento perfetto per ricomporre questa contraddizione perché vi è un ordine gerarchico tra i due soggetti. In questo modo si esorcizza il desiderio maschile e l'uomo si sente in diritto di scaricare l'istinto sporco sul corpo della prostituta impura. Ed è per questo che per l'uomo la prostituta deve restare impura. L'uomo non chiede alla propria donna ciò che chiede alla prostituta, avviene una sessualizzazione e negativizzazione conseguente del corpo della prostituta in netto contrasto con la donna angelo del focolare, moglie e madre.
Parlare di prostituzione ha a che fare con la sessualità, con l'autodeterminazione e con il simbolico femminile: è chiaro che il riferimento alla gonna corta nel disegno di Legge Carfagna ha l'intento di normare i comportamenti sessuali.
Il DDL Carfagna consta di soli quattro articoli e rappresenta una scheggia impazzita rispetto alla legislazione sulla prostituzione e perciò alla legge Merlin del 1958, alla legge sulla tratta, al testo unico sull'immigrazione. Perché è una scheggia impazzita?
Innanzitutto perché fa parte di quella legislazione d'emergenza tipica della politica degli ultimi anni (ricordate il “pacchetto sicurezza”?) che toglie la possibilità di discutere pubblicamente temi importanti. In questo caso riduce la prostituzione ad un problema di ordine pubblico. Seconda cosa perché è la prima volta nel nostro ordinamento che si criminalizza l'esercizio della prostituzione, sia la prostituta che il cliente. Il precedente lo troviamo nel 1400 quando a seguito della Controriforma della chiesa i Comuni bandirono le prostitute dai propri territori perchè offensive del decoro. Questa legge ci riporta a quei tempi, che rappresentano una parentesi rispetto alla tolleranza diffusa precedente e seguente. Nel 1800, a seguito della venuta di Napoleone in Italia, la prostituzione fu disciplinata in un nuovo modo: non era vietata ma regolamentata come funzionale al benessere dell'esercito. Perciò veniva garantita la salute del cliente e il rispetto del decoro attraverso esami medici coatti, schedature e trasferimento della prostituzione all'interno delle case.
Si fece strada così il discorso sul “contagio”. Dal 1800 lo Stato si è preoccupato di controllare la salute del corpo femminile attraverso visite sanitarie obbligatorie e mai ha controllato la salute del cliente. Dal punto di vista antropologico e Lombrosiano la figura della prostituta era descritta come una categoria clinica particolare perciò la tutela della salute della prostituta non era considerata un suo diritto ma un diritto del cliente. Il tema di contagio è insomma il corrispettivo logico del tema del vizio. Il desiderio maschile, motore primo di questo apparato, viene invece considerato “naturale”, quasi “atmosferico”, trascendente, si sottrae alla realtà empirica e si sottrae così alla critica. Questo desiderio naturale è ambivalente, è considerato cioè socialmente pericoloso. Perciò deve prevedere dei canali, dei luoghi giuridicamente predisposti, in cui possa scaricarsi. Nel 1958 infatti molti oppositori della legge Merlin argomentavano: <>
Il parafulmine di quest'energia fallica incontenibile è la prostituzione.
Questa condizione cessò solo nel 1959 con la legge Merlin.
Le case chiuse erano luoghi di controllo e contenimento delle prostitute, alle quali addirittura veniva tolta la carta d'identità, erano luoghi di vera propria schiavitù. Nel 1950 venne redatta la Convenzione Internazionale contro la tratta in cui si afferma che la donna deve essere soggetto libero che gestisce il proprio corpo, conseguentemente l'esercizio nelle case deve essere eliminato finché ci saranno soggetti che lucrano su di loro.
Prima del 1950 la donna era “oggetto” di disciplina, dal 1950 e dalla Legge Merlin in poi diventa “soggetto” della legge. Ma cosa dice la legge Merln? La prostituzione non è reato. La legge sancisce il divieto dell'esercizio nelle case chiuse, all'articolo tre introduce reati di favoreggiamento e adescamento, volti a garantire il diritto all'autodeterminazione delle donne. E' una legge che rappresenta un'interpretazione innovativa e rispettosa dei diritti umani. E' vero però che la giurisprudenza ha poi fatto un uso distorto della legge merlin utilizzando il favoreggiamento per punire tutte le esperienze di vicinanza e aiuto alle prostitute.
La legge Carfagna criminalizza ogni forma di esercizio in pubblico e all'articolo uno criminalizza chiunque contratta o si avvale di prestazioni sessuali. E' una legge generica che scardina il principio di libertà sessuale delle persone, è ideologica, è volta alla repressione della prostituzione su strada per un rinnovato concetto di decoro e va al di là delle leggi esistenti. Inoltre introduce più problemi nella gestione del tema della tratta perché la prostituzione viene solo nascosta dagli occhi del comune cittadino, rendendo così difficile il lavoro delle associazioni e delle forze dell'ordine che contrastano la schiavitù. Infatti l'Articolo 18 resta integro e applicato, ma sarà sempre più difficile raggiungere le donne che davvero vivono il dramma della tratta una volta rinchiuse nelle case.
Questa legge è legata una rinnovata concezione repressiva del corpo della donna e della sua libertà sessuale, viola i diritti di libertà contrattuale delle prostitute e dei clienti, non rispetta le convenzioni internazionali che affermano che il sesso tra adulti consenzienti non è un crimine. Dovevamo aspettarci questa criminalizzazione quando grazie a poteri“speciali” i sindaci hanno legiferato contro la prostituzione con la scusa della pubblica sicurezza e della circolazione stradale. Già allora si è delineato un abuso di potere sul corpo delle donne e delle trans, e soprattutto sul corpo delle migranti.