FEMMINICIDIO

mercoledì 27 agosto 2008

Il femminicidio per la prima volta entra in Parlamento

Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 113 del 21/2/2007

Intervento dell'onorevole Rosalba Cesini

Agosto 2006: Hina Saleem viene uccisa dal padre, che non condivideva le sue scelte. Titolo dei giornali: «Muore perché rifiuta la sharia»! Settembre 2006: Khaur P. si suicida perché non accetta il matrimonio impostole dalla famiglia. Titoli: «Donna indiana sceglie la libertà»! Febbraio 2007: Maha Saidi viene picchiata e segregata in casa. Titoli: «I poliziotti perquisiscono l'appartamento e sequestrano testi islamici»! Si è trattato di tre fatti gravi, esecrabili e da punire severamente; sono stati eventi che hanno suscitato scalpore e destato l'attenzione dei grandi quotidiani nazionali. Di più: ricordo che, a seguito di uno stupro in una città del nord, si è arrivati ad organizzare una serrata. Bene, si dirà, molto bene: finalmente, la nostra società si ribella allo scempio quotidiano! Invece, no: più semplicemente, un maghrebino aveva violentato una giovane italiana! Lo scandalo era costituito non dall'odioso crimine in sé, ma dal fatto che a commetterlo fosse stato un extracomunitario! Questo è il punto, colleghi! È questo il motivo per cui la mozione presentata originariamente dal gruppo della Lega Nord Padania - poi confluita nel documento di indirizzo unitario del centrodestra - su questi avvenimenti ci preoccupa e ci indigna. Ci indigna perché vuole sottolineare o dimostrare che «il mostro» è fuori di noi, vale a dire che è «l'altro da noi» per etnia e convinzioni religiose. Ci preoccupa poiché occulta un dato incontestabile, vale a dire il vero movente di questa tipologia di crimini. Mi rivolgo ai colleghi che mi hanno preceduto, ma tornerò successivamente su tale argomento. Richiamo altri esempi, presi dai giornali di oggi. Viterbo: padre e zio, italiani, violentano 3 bambine. Avellino: uccisa dal compagno della madre, italiano. Luglio 2006: Stella Palermo, uccisa ad Albenga dall'ex fidanzato, italiano. Silvia Mantovani, uccisa a Parma dall'ex fidanzato, italiano. Ottobre 2006: Norma Rado Mazzotti, uccisa in provincia di Padova dall'uomo con cui aveva una relazione, italiano. I titoli dei quotidiani, stavolta rigorosamente locali, vertono sul tema: lei lo lascia, lui, colto da raptus, la uccide. Due pesi e due misure, colleghe e colleghi, modi diversi e non neutrali di fare informazione, quindi, di «fare senso comune». In un caso, si sottolinea il movente religioso che obbliga ad annientare il desiderio di libertà; nell'altro, è l'attimo di follia che scatena il crimine. Eppure tutte le vicende, nessuna esclusa, hanno una radice comune: tutte queste donne sono state trucidate, picchiate, seviziate, violentate per lo stesso identico motivo, perché volevano decidere della propria vita. I loro assassini, seviziatori, picchiatori, violentatori, di culture e religioni diverse, hanno in comune la medesima incrollabile convinzione di essere i padroni della vita di figlie, di mogli, di fidanzate.
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I nomi di queste donne si aggiungono ad una lista lunghissima, dato che l'uccisione è, per le donne dai 14 ai 44 anni, la prima causa di morte in Europa. Avete capito bene? La prima causa di morte in Europa per le donne, in questa fascia di età, non è una malattia, non è il cancro, non sono gli incidenti stradali, ma è l'uccisione per stupro, per percosse, per non perderne il possesso! Ma veniamo all'Italia. L'ISTAT, nel rapporto sulla sicurezza dei cittadini, ci informa che, ogni giorno, sette donne, in Italia, sono violentate. Il 3 per cento della popolazione femminile tra i 14 e i 59 anni - mezzo milione di donne - ha subito una violenza. Dieci milioni di donne - il 50 per cento - ha subito una molestia a sfondo sessuale. Il 3 per cento ha subito ricatti sessuali sul posto di lavoro per essere assunta o per un avanzamento di carriera. Il 3 per cento degli stupri sono commessi da estranei, mentre la metà sono commessi da mariti, da fidanzati, da «ex», da parenti stretti. Il rapporto Eures-Ansa ci dice che, nel 2005, 174 donne sono state uccise; 138 di loro in famiglia. Telefono Rosa ci informa che, nel 2005, sono triplicate le denunce di stupro rispetto all'anno precedente e la questura di Roma ci dice che, nella capitale, ogni tre giorni, una donna subisce uno stupro. Da un'indagine nei centri antiviolenza dell'Emilia, si evince che la stragrande maggioranza delle donne vittime di violenze e degli autori delle stesse sono persone del tutto normali e che i crimini, per lo più, si consumano in famiglia. Persone normali, dunque, questi criminali e per di più familiari. Come dire: il killer non bussa, perché ha le chiavi. C'è davvero da preoccuparsi dello stato delle famiglie in Italia. Visti i dati, cosa avremmo da insegnare agli altri, dall'alto di questa italianissima normalità violenta? Ci auguriamo che il dibattito su questi temi, seppure iniziato in maniera strumentale, possa, comunque, essere utile per portare all'attenzione del Parlamento, e forse anche del paese, un tema che riguarda ed interroga tutti, uomini e donne che aspirano ad una società fondata su rapporti civili tra i sessi. Intanto, riteniamo utile cominciare ad usare un termine più appropriato per nominare i crimini in danno al genere femminile. Questa parola, non coniata da noi, è femminicidio. Cito da un testo elaborato da un gruppo di giuriste democratiche: per femminicidio deve intendersi ogni pratica violenta, sia fisica che psicologica, che attenta all'integrità, alla salute, alla libertà o alla vita della donna, con il fine di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico e psicologico, fino alla sottomissione o alla morte della vittima. E di femminicidio, colleghe, è corretto parlare ogni volta che una donna è vittima di un atto criminoso, perché è donna, perché specificatamente non è la donna che l'uomo, quell'uomo, e la società vorrebbero. Il femminicidio è un fenomeno trasversale a classi e culture ed è occultato perché, di solito, si consuma in famiglia. Ha origini da tradizioni patriarcali, usanze che quasi ovunque nel mondo sono veicolate da strutture sociali, come le religioni, il sistema formativo, quello informativo e giuridico, innanzitutto per controllarne la peculiarità e la funzione procreativa e per garantire la subordinazione delle donne in ogni sfera pubblica e privata. Nel nostro paese, grazie alle lotte della sinistra e del movimento delle donne, in particolare dell'UDI, di cui mi onoro di far parte, molti passi avanti sono stati fatti. Non possiamo dimenticare che solo fino a pochi anni fa lo stupro era ancora un reato contro la morale, così come sappiamo quali e quanti effetti devastanti derivino dalla legge n. 40 del 2004, che obbliga l'impianto persino degli embrioni malati nel corpo delle donne e che le costringe al «nomadismo procreativo»; passi avanti, certo, ma quanta strada da fare ancora per vincere la discriminazione sessuale! Per questo vogliamo denunciare con forza l'ipocrisia di chi si scandalizza per il velo imposto alle musulmane e, contemporaneamente,
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si batte per imporre la presenza di associazioni antiabortiste nei consultori. Per questo denunciamo l'ipocrisia di chi condanna una religione, quella islamica, che si fa legge dello Stato, ma, contemporaneamente, sostiene le gerarchie cattoliche nella pretesa che lo Stato non legiferi su tematiche ad esse sensibili. C'è bisogno di coerenza, colleghi, e di obiettività. Bisogna saper vedere che laddove si propugni la volontà di sottomissione delle donne, laddove si voglia impedire loro di avere signoria sul proprio corpo, laddove le si voglia relegare ad una mera funzione di contenitore privo di facoltà di decidere della propria sessualità e della propria capacità procreativa, ebbene, qualunque sia il contesto, la c'è discriminazione sessuata. Tutte le donne consapevoli che l'autodeterminazione e l'affermazione dell'inviolabilità del corpo femminile sono l'unica via per l'affermarsi di rapporti civili tra i sessi chiedono anzitutto che lo Stato si liberi da ogni ingerenza religiosa e faccia rispettare le proprie leggi, al di là di ogni convenzione o tradizione religiosa. Per il dispiegarsi della democrazia e dell'eguaglianza sostanziale lo Stato, pur garantendo il pieno rispetto delle libertà religiose, deve essere laico, totalmente e completamente laico, ed allo Stato laico compete rimuovere, come afferma la nostra Costituzione, tutti gli ostacoli che si frappongono al dispiegarsi dell'uguaglianza dei diritti. Signora sottosegretario, il popolo della sinistra e, in particolare, le donne di quel popolo, hanno molte attese nei confronti del nostro Governo; vengano allora ripristinati al più presto i diritti calpestati dalle politiche neoliberiste e dall'approccio moralista dei Governi di destra, e possano finalmente vedere la luce i nuovi diritti di cittadinanza per cui si battono le donne italiane ed immigrate. Si correggano dunque e subito le vergognose norme della cosiddetta legge Bossi-Fini e si avvii una seria politica di integrazione! Infine, così come per ogni essere umano non è sufficiente vivere la dimensione lavorativa per avere una coscienza di classe, per una donna, per ogni donna, non basta essere nata con il corpo di femmina per avere consapevolezza dell'origine e degli esiti del conflitto tra i sessi: lo constatiamo anche dal dibattito in quest'aula. Noi riteniamo che questa consapevolezza vada, invece, sostenuta da uno Stato per definizione laico e democratico. Pertanto chiediamo che questo Governo riservi adeguate risorse e strumenti per la scuola, per le istituzioni territoriali e sociali, per la promozione di una cultura del rispetto delle differenze e dei generi, incentrata sull'inviolabilità del corpo femminile, in modo che sia possibile, all'inizio del terzo millennio, nel nostro paese, avviare un percorso comune di uomini e donne, anche immigrati, sotto il segno del confronto paritario tra i sessi.

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